Grazie per le preghiere, per la carità, per farci sentire che la Chiesa italiana è per noi come la nostra Chiesa madre, che ci è stata molto vicina in questi momenti di persecuzioni. Con queste parole il vescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Matti Warda, ha concluso il suo intervento – un quarto dora, molto applaudito – alla seconda giornata dellAssemblea della Cei. Eccezionalmente, oltre ai 233 vescovi (di cui 13 emeriti e 33 invitati), sono stati ammessi a questa parte dei lavori anche i giornalisti presenti ad Assisi. La Chiesa italiana, ha affermato il vescovo, ci è stata molto vicina in questi momenti di persecuzione. È la prima volta che una Chiesa grida per difendere i nostri diritti. Vi prego, per favore, continuate questo grido perché i nostri cristiani perseguitati non si sentano anche dimenticati. Il vescovo caldeo ha parlato in arabo, e il suo intervento, mediato da un traduttore, è stato preceduto da un video della Caritas con le immagini di uno dei 27 campi profughi del Kurdistan iracheno, dove una delegazione della Cei, guidata da monsignor Galantino, si è recata di recente: Ci sono ragioni fondate perché da qui a qualche anno non ci sia più nemmeno traccia della presenza cristiana, una delle frasi di commento della voce-guida.
Cari fratelli e sorelle nellepiscopato – ha affermato mons. Warda – ringrazio il Signore per tutte le sue grazie: ci ha insegnato quanto sia prezioso e impegnativo essere cristiani e ci ha mostrato come incontrarlo attraverso il servizio verso i profughi. Lesperienza in questi mesi – ha testimoniato il prelato – ci ha insegnato a mettere da parte tutti i nostri programmi e progetti pastorali per essere accanto ai nostri profughi, che continuano a bussare alla nostra porta. Il 7 agosto del 2014 – ha ricordato il vescovo – abbiamo aperto le nostre chiese, oratori, scuole, parrocchie, giardini: abbiamo accolto 120mila profughi in 24 ore. Hanno attraversato il mare della violenza per arrivare nelle nostre più sicure città. Sin dal primo giorno noi vescovi cattolici e ortodossi, inclusi quelli del territorio di Mosul – ha proseguito mons. Warda – abbiamo istituito una Commissione per riunire gli sforzi e coordinare gli aiuti, insieme ai sacerdoti, ai religiose e alle religiose, ai laici che collaborano con noi per aiutare i perseguitati. Ogni 100 profughi ci sono un sacerdote e una suora per pregare, ascoltare i ragazzi e i loro bisogni e diminuire le tensioni per lo stress e le pressioni psicologiche, ha raccontato il vescovo. La domanda più ripetuta: Quando finisce questa tragedia e torniamo alle nostre case e chiese?.
Alla Commissione che coordina gli aiuti, ha reso noto mons. Warda, sono arrivate donazioni per circa tre milioni di dollari con cui abbiamo dato da mangiare a chi non ha da mangiare, da bere a chi non ha da bere, vestiti e medicine a chi ne ha bisogno, alloggio a chi non ha unabitazione. Anche alle famiglie jazide, che bussano alla nostra porta a causa dellassenza del governo di Baghdad. 407 famiglie di profughi sono state trasferite dalle tende a case provvisorie per proteggersi dal freddo e dalla pioggia, e sono stati affittati 1.200 appartamenti per famiglie ricoverate nelle scuole: su 11 scuole, 5 sono state restituite alla loro funzione. Stiamo cercando di costruire scuole perché i giovani possano riprendere gli studi. Le donazioni di cibo, però, arrivate nei primi due mesi, nelle ultime settimane scarseggiano, e linverno mette tutti a dura prova: Così abbiamo deciso di lanciare un programma di solidarietà perché il cibo sia garantito a tutti i profughi. Siamo consapevoli dei nostri limiti e stiamo cercando di migliorare perché non si sentano allo stesso tempo perseguitati e dimenticati, ha concluso il vescovo: Non ci sono indizi incoraggianti per soluzioni immediate di questa tragedia, anzi ci vorranno anni. Stiamo pensando di costruire case, come alternativa allesilio nella propria patria, aiutandole a tr…