MONS. LAMBIASI AL SIR, “RIFORMA” A PARTIRE DAL CONCILIO

Un progetto di “riforma” per la vita del clero nelle nostre chiese. A confrontarsi su questo tema sono i vescovi italiani, a partire dalla formazione permanente e dalla questione dell’appartenenza al presbiterio. “Bisogna ritornare alla profondità incompiuta del Concilio Vaticano II, come sta cercando di fare in tutti i modi e con tutti i toni Papa Francesco”, spiega in un’intervista al Sir (clicca qui) monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, intervenuto ieri sera in Aula su questo tema, dopo la prolusione del cardinale Bagnasco: “Il Concilio ha riscoperto la realtà del presbiterio, perché è ritornato alla concezione di quest’ultimo che avevano i padri della Chiesa, a partire dal Nuovo Testamento”. Una categoria, questa, che “è diventata puramente logistica, in quanto indica semplicemente un luogo fisico: la parte della chiesa riservata ai presbiteri. Secondo la concezione del Concilio, invece, il presbiterio non è tanto un luogo o un’organizzazione, ma un organismo, qualcosa di vivo e di vitale. Il presbiterio comprende anche il vescovo, sotto la cui guida è posto. Riforma vuol dire dunque, in questa prospettiva, ritornare alla concezione alta del presbiterio che troviamo nelle fonti delle Scritture e nella tradizione”.  

“In Italia – l’analisi di mons. Lambiasi – abbiamo un clero sano, ma che rischia di soffocare per le tante incombenze che deve assolvere. Perché un prete sia quello che deve essere, prima di tutto deve essere un ‘con-presbitero’: guai se un sacerdote è solo, guai se un vescovo è solo. Un vescovo che sente l’amore per il presbiterio è un vescovo che fa il vescovo”. il rischio sempre in agguato, invece, è quello dell’attivismo, di rimanere preda di una serie di “funzioni”: “Per essere quello che deve essere – spiega mons. Lambiasi – il prete deve sentirsi membro attivo del presbiterio: allora può trovare finalmente nel ministero stesso e nelle sue attività non un ostacolo, ma un’occasione di esercizio del ministero presbiterale e di santità”. Riguardo alle situazioni di difficoltà o di disagio che un prete può sperimentare nell’arco della sua vita, mons. Lambiasi osserva: “Intanto prevenire è sempre meglio che proteggere. Solo se il prete si sente dentro e parte viva della famiglia del presbiterio può fronteggiare le situazioni a rischio e mettersi al riparo dalle varie forme di dipendenza. Noi preti siamo vasi di argilla che portiamo un tesoro: bisogna avere il coraggio di correre dei rischi, ma anche di vigilare su se stessi per non incorrere in dipendenze come quelle dalle ansie, dalle preoccupazioni, dal potere, dall’alcol, dai media”.
 
Fonte Sir: www.agensir.it
 
(martedì 11 novembre 2014)
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