UN VESCOVO E DUE PAPI
LI HO AMMIRATI PER LA LORO PIETA’ E UMANITA’

Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, rievoca il primo incontro con Roncalli a Parigi nel 1951. La richiesta dal Concilio di proclamarlo Santo per acclamazione e la prudenza di Paolo VI. La spinta della “Pacem in terris”. L’incontro con Giovanni Paolo II, nei giorni della lettera all’onorevole Berlinguer. La visita del Papa polacco, in diocesi, il 19 marzo 1990 per incontrare il mondo del lavoro

 
 
Noi salutiamo il Papa come “Vicario” di Cristo. E se è vero che ogni cristiano per il battesimo è inserito in Cristo (e quindi è “vicario” di Cristo), e il sacerdote, per la sua ordinazione e il suo compito, è – come si diceva un tempo – un “altro Cristo”, il Papa è in misura particolare “Vicario di Cristo” in quanto ne rappresenta e ne continua il compito di grande Profeta, grande Sacerdote, grande Pastore. Assurto a un compito immenso, il Papa resta uomo, con tutte le caratteristiche e i limiti di un’umanità che, pur al servizio dell’umanità perfetta di un Dio che si è fatto uomo, rimane un’umanità imperfetta. Il grande insegnamento che ci ha dato Papa Benedetto con le sue dimissioni è stata la coscienza dei propri limiti, derivata dall’età e dalla situazione concreta, che gli ha fatto trasmettere il “servizio” (ministero) a cui arrivava a sentirsi inadeguato, al nuovo “servitore” che lo Spirito avrebbe designato servendosi dei cardinali.
Ed è così che a suo tempo i cardinali, trovatisi a designare il successore di Papa Pio XII, avevano nominato il cardinale Roncalli come “Papa di transizione” che preparasse il papato all’arcivescovo di Milano, il non ancora cardinale monsignor Montini. Non ebbi modo di incontrare Giovanni perché, accordatosi col mio arcivescovo, il cardinale Lercaro, sulla sostituzione del vescovo ausiliare di Bologna, aveva già firmato la nomina di mons. Baroni a vescovo di Albenga – il che permise ai cardinali di renderla pubblica – ma non aveva firmato la mia, e dovetti attendere la conferma di Paolo VI.
Avevo incontrato il nunzio Roncalli nel 1951 a Parigi, dove m’ero recato per esercitarmi un po’ nel francese, in una visita, suggeritami dal mio arcivescovo di allora (il cardinale Nasalli Rocca di Corneliano). Monsignor Roncalli mi aveva intrattenuto parlando del più e del meno (i francesi dicevano che “era un gran diplomatico”, perché era capace di parlare per due ore… senza dire niente!) e comunicandomi che una dei suoi due hobby, accanto a quello dei libri antichi, era l’interessamento alle visite pastorali di san Carlo Borromeo nella diocesi di Bergamo, dove – riflettei successivamente – portava il Concilio di Trento; e Roncalli si rendeva conto di quanto fosse importante un Concilio ecumenico per la vita della Chiesa.
Va detto che anche l’importanza del Concilio Vaticano II emerse nel suo svolgersi. I documenti preparati riassumevano più o meno quanto si era già detto o fatto; e fu l’assemblea a sollecitare un rinnovamento che guardasse l’avvenire, pur partendo dal passato; e Papa Giovanni ne confermò la volontà. Avremmo voluto che il Concilio lo proclamasse Santo “per acclamazione”, e furono diversi gli interventi e le iniziative in questo senso. Ma Paolo VI, che veniva sollecitato anche perché promuovesse la beatificazione di Pio XII, preferì avviare per ambedue il processo normale di beatificazione.
Lo stemma scelto da Papa Roncalli quando era diventato vescovo si rifaceva al motto del cardinale Baronio “obbedientia e pax”. E aveva sempre accettato tutto per obbedienza. Mi disse una nipote del famoso padre Lombardi – il “microfono di Dio” nel dopoguerra – che questi, recatosi da Papa Giovanni per suggerirgli le innovazioni da portare nella Chiesa, si sentì rispondere: “Ma lei crede che sia qui per governare la Chiesa? Io sono qui per vedere cosa fa lo Spirito Santo”. E la pace fu la seconda grande transizione indotta da Giovanni XXIII. L’essere stato determinante per bloccare lo scontro tra Usa e Urss nella “c…

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