GIUSEPPE CACCIAMI
Creativi responsabili

“E’ da tempo in atto, per lo stimolo delle nuove tecnologie, un radicale cambiamento del nostro modo di vivere, di lavorare, di pensare; le conseguenze non sono oggi tutte prevedibili. E allora? Attendiamo rassegnati e passivi gli esiti futuri o ci assumiamo la responsabilità di governare il cambiamento?”.
 
Sembrano di oggi queste parole di mons. Giuseppe Cacciami di cui il 17 marzo ricorre il primo anniversario della morte.
 
Invece sono riprese da un suo intervento del 1989 a Ruhpolding (Germania) nel corso del congresso mondiale dell’Unione cattolica della stampa internazionale (Ucip) di cui per molti anni fu esponente di spicco in qualità di direttore del settimanale diocesano L’Azione (Novara), di presidente della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), successivamente di presidente del Consorzio nazionale servizi informazioni settimanali (Consis) e di architetto, con Giovanni Fallani, del Sir.
 
Alla domanda sulla responsabilità dei giornalisti nei confronti dei nuovi media diede, come era nel suo stile, una risposta appassionata e argomentata ma che si può così sintetizzare: “Urge una nuova creatività fondata sui valori dell’uomo” perché “le nuove tecnologie dell’informazione sembrano ormai in grado di provocare una trasformazione delle coscienze”.
 
Quella “mutazione antropologica”, di cui si è preso atto in tempi recenti, era pienamente avvertita in quegli anni da mons. Giuseppe Cacciami. “Le nuove tecnologie dell’informazione – affermava – possono diventare il prolungamento artificiale delle possibilità umane sviluppando enormemente l’intelligenza e la memoria, oppure c’è il rischio opposto: che l’intelligenza umana si adegui e si riduca agli schemi del linguaggio delle macchine, limitandosi a una ‘razionalità formale’ ed escludendo ogni altra forma di rapporto con la realtà”.
 
La consapevolezza che questo rischio avrebbe sempre più provocato la coscienza cristiana fece di lui, fino alla malattia che lo sorprese nel 2004, un instancabile pungolatore intellettuale. “Senza scoraggiamenti – scriveva – i cristiani sappiano inventare le strade concrete per percorrere questo cammino obbligato: dalla informazione alla comunicazione, dalla comunicazione alla comunione. Questo è l’itinerario della creatività”. Questa, aggiungeva, è “la prospettiva esaltante che deve stimolare a far emergere dalle nuove tecnologie le implicite possibilità positive che esse contengono”.
 
Quasi una profezia pensando allo sviluppo che dagli anni ’90 in poi ha avuto nella Chiesa e nell’esperienza dei cattolici il dibattito sulla comunicazione e, in particolare, sul rapporto tra connessione e relazione.
 
A questo appassionato confronto mons. Giuseppe Cacciami aveva partecipato con il suo contributo al direttorio Cei “Comunicazione e missione” del 2004 che anche oggi offre indicazioni preziose per il futuro.
 
Non mancavano, in questo sacerdote e giornalista, le preoccupazioni. Una delle più forti riguardava la mancanza di un linguaggio capace di “esprimere l’attualità del messaggio cristiano conservandone l’identità originale ma insieme esprimendolo nelle categorie culturali del nostro tempo”. E ricordava spesso che “una certa forma di linguaggio sacrale oggi appare incomprensibile alle generazioni rumorose della civiltà microelettronica”.
 
L’auspicio e l’appello erano e rimangono per un linguaggio “capace di fare una sintesi del sapere scientifico e tecnologico e del sapere umanistico”.
 
Da qui l’invito al giornalista cattolico – nell’era delle tecnologie avanzate – a essere un professionista con “un vero supplemento d’anima”, cioè con un patrimonio culturale, morale e spirituale di cui non può fare a meno chi vuole comunicare nella verità e nella libertà.
 
In una testimonianza umana e professionale – il…

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