LA SCOSSA DI RATZINGER
Cortocircuiti mediatici

Dopo le parole del Papa al clero romano sul ”Concilio dei Padri” e il ”Concilio dei media”, Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi, invita istituzioni e giornalisti a scegliere la strada della trasparenza responsabile. Che ”non significa assenza del bisogno di segreto in alcune specifiche circostanze”. La mancanza di trasparenza non giustifica, comunque, il furto di documenti.
 
Giornalisti e stampa a volte screditata, distorsioni della realtà, sistema dei media in cortocircuito con le istituzioni, fuga o furto di notizie e documenti: cosa succede nel giornalismo? Esiste ancora una “etica” dell’informazione oppure nell’era di internet tutto è permesso? Lo chiediamo al presidente nazionale dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana), Andrea Melodia, giornalista ed ex-dirigente Rai. All’Unione aderiscono circa 3mila giornalisti ed è presente con proprie sezioni in quasi tutte le regioni del Paese.
 
Nel suo discorso al clero romano del 14 febbraio, Papa Benedetto XVI ha parlato di “due Concili”: il “Concilio dei Padri” e il “Concilio dei media”, sottolineando le interpretazioni “politiche” o preconcette o ideologiche o semplicemente superficiali, tipiche di una certa lettura giornalistica. Perché questo richiamo così circostanziato e severo?
“Il Papa è intervenuto con molta decisione in questa piaga. Ci sono eventi, e il Concilio è uno di questi, troppo grandi per chiamarli così, che hanno una tale portata, nonché significati e valori intrinseci così rilevanti che, nel momento in cui vengono raccontati dai media, finiscono per perdere valore, per mescolarsi con criteri e interpretazioni che non hanno nulla a che vedere con la loro storia e verità. Il Papa ha detto chiaramente che i giornalisti hanno dato una lettura politica del Concilio invece che darne una di fede. Questo perché evidentemente non disponevano, o almeno non tutti come sistema di informazione, delle competenze necessarie per offrire un’interpretazione autentica del Concilio. È evidente che occorrano sempre rispetto reciproco e competenza, serietà di lavoro, assenza di pregiudizi, capacità di entrare nelle cose raccontandole con parole giuste, adeguate e comprensibili da parte dei lettori finali. Forse non si tratta tanto di darsi un codice, ma di lavorare per la qualità su tutti i fronti, il che significa formazione, dialogo, cultura”.
 
Come fare per evitare, da parte dei giornalisti, simili distorsioni della realtà? Bastano le esortazioni a un uso etico dei media?
“Esortare a un uso etico di per sé non è sufficiente. Ciò che serve è una sorta di bonifica generale del sistema per evitare quei cortocircuiti che si verificano tra gli eventi e chi li racconta. Tali cortocircuiti dipendono, il più delle volte, da condizioni strutturali di istituzioni che non applicano il principio della trasparenza e che quindi si raccontano secondo criteri chiusi, criteri che il mondo contemporaneo non accetta più. Ad esempio, istituzioni pubbliche che finiscono per avere politiche di racconto da parte degli uffici stampa completamente separate dai propri atti concreti. Dall’altra parte ci sono media che vivono condizionamenti di tipo economico o politico e non sono liberi e autonomi. O addirittura media in cui i giornalisti sono talmente tartassati in termini economici che questo finisce per provocare una vera e propria dequalificazione. Il lavoro giornalistico è importante e diverso dagli altri e occorre compiere ogni sforzo perché non si creino distorsioni pericolose”.
 
Nella situazione odierna dei media che si “incrociano” (crossmedialità), come garantire questo equilibrio e rispetto della verità nell’informazione?
“Il problema oggi è che i processi di digitalizzazione, convergenza, crossmedialità fanno sì che gestire i linguaggi è ancora più complicato di prima. Fino a poco …

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