VAN DE SFROOS A SOUL

Sabato  5 a Soul  (12.15 e 20.30)un grande artista, un cantautore, un poeta, erroneamente definito “dialettale”: perché Davide Bernasconi, in arte  van de Sfroos, canta in una lingua antica, quella del suo lago di Como di manzoniana memoria. Lingua di pescatori, di operai ed emigranti. E perché non  canta solo in lumbard, ma come dice il suo nome, “va di frodo”, è   dal punto di vista musicale un contrabbandiere, un rapinatore di suoni, parole, storie. Un abbattitore di  alcune frontiere, di dogane che molte volte si possono incontrare nella vita di tutti i giorni. Il suo ultimo lavoro, l’ennesimo successo, di critica e pubblico: e un atto di coraggio, trasformare nella sua Synfuniia,  raccolta e concerti in tour, i suoi pezzi storici  folk di chitarra e voce, in una prova d’orchestra, per un concerto di armonie nuove.
“Laghée è il termine dialettale per dire “lacustre: il ramo del lago di con i suoi lati selvaggi , a pochi passi dal confine svizzero. In passato una persona veniva chiamata col termine laghée  in modo dispregiativo, per indicare quei musicisti che venivano dalle colline e suonavano con la salopette e l’armonica a bocca quasi come l’hillybilly americano.  
Io sento moltissimo  e con orgoglio quest’appartenenza. Sono nato a Monza, ma all’età di tre anni ero già sul lago. Mamma era lariana e, quindi, laghéè, mentre mio padre comasco. Mi sono subito radicato a questo territorio, ho preso tanto dalle sue acque e montagne, ma soprattutto dalle sue ombre”.
 
“Synfuniia: è stata un’esperienza molto bella per la quale ringrazio l’intervento del Maestro Vito Lo Re , giovane compositore, direttore d’orchestra che, da fan, ha voluto prendere una rosa di quattordici canzoni per arrangiarle in chiave sinfonica. Canzoni nate dall’osteria o in riva al lago tutto d’un tratto sono diventate sinfoniche. Non si tratta di musica classica, ma di un arrangiamento realizzato usando tutte le sfumature delle colonne sonore del cinema. Si è permesso alla musica di andare alla ricerca di se stessa, di cambiare, di evolversi, di sperimentare. Se non le si permette tutto questo la si uccide. È come se si impedisse al figlio di uscire di casa perché poi, magari, potrebbe tornare cambiato”.
 
“Ho cercato ovunque le storie da raccontare. Sono uscito dalla Lombardia, dall’Italia. Come un antropologo sono andato alla ricerca di altri ritmi, altri usi e costumi, altre religioni e credenze perché credo che la visione del falco, quella globale e panoramica, permetta di scendere meglio nel dettaglio di quello che è il propri io”.
“Nelle mie storie c’è sempre un po’ di malinconia perché credo faccia parte del mio carattere, del carattere delle persone che, costantemente, sono costrette a specchiarsi davanti a un lago che in superficie può sembrare anche piuttosto liscio, non sempre ondoso, ma che è uno dei più profondi  d’Italia e quindi porta a compiere un viaggio nell’anima, che mette in contatto con eventi passati, con i cambiamenti con la memoria di  quello che non c’è più. Non posso e non devo permettermi di descrivere il  lariano come un maniaco depressivo, ma ci sono sicuramente delle ombre, delle onde che lo attraversano costantemente.
La natura aiuta molto. Con me ha sempre giocato il ruolo di madr…

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