INSIEME AD ABUNA MARIO TRA I CRISTIANI DI GAZA

Una delegazione della Federazione dei settimanali cattolici ha incontrato il sacerdote fiesolano da anni impegnato in Terra Santa.
Girare per le strade di Betlemme con don Mario Cornioli è uno spettacolo. Saluta tutti, parla in arabo, stringe le mani battendole prima sul palmo come fanno da queste parti. Salta con i ragazzi che fanno ginnastica nel cortile della scuola salesiana, scherza con gli anziani della mensa. Prega insieme ai «suoi» «Gesù bambini», i piccoli ospiti della Casa «Hogar Nino Dios», a due passi dalla Natività. Sono ventiquattro, disabili o abbandonati, assistiti e accuditi da cinque suore del Verbo incarnato. «Abuna Mario», come qui chiamano il sacerdote fiesolano dal 2005 al Patriarcato latino di Gerusalemme, ha accompagnato nei giorni scorsi una delegazione dei settimanali cattolici in visita alle realtà di Terra Santa sostenute in parte dalla Chiesa italiana attraverso l’otto per mille. Con un passaggio, non certo facile, anche a Gaza per incontrare la piccola comunità cattolica. Controlli, interrogatori, perquisizioni per entrare e uscire dalla frontiera di Herez, una barriera di ferro e cemento a chiudere la Striscia come un carcere a cielo aperto, il più grande sulla faccia della terra. Anche qui «abuna Mario» ha un abbraccio e una parola per tutti, a partire dal parroco, un altro «abuna Mario», brasiliano, e dal suo vice, don Vittorio, argentino. E poi carezze e sorrisi per gli oltre quaranta bambini handicappati accolti nell’orfanotrofio gestito da sei suore di Madre Teresa all’interno della parrocchia della Sacra Famiglia, l’unica nella Striscia, a servizio di una comunità di appena 130 cattolici latini. Una manciata di famiglie che vivono in ristrettezze e difficoltà, come quella che ci ha aperto le porte di casa e che abbiamo incontrato assieme a don Mario Cornioli. Una famiglia di cristiani composta da una dozzina di persone di cui una sola lavora. Si sentono come Cristo in croce. Testuali parole. Ma é proprio guardando alla Croce e alla Madonna piangente, ritratta in un manifesto che domina il piccolo salotto, che trovano la forza di andare avanti, anche senza un futuro in questa terra martoriata che è la Striscia di Gaza. Terra di muri, di morti e distruzioni. Dove si affollano quasi due milioni di disperati in un territorio di pochi chilometri dal quale non si può uscire. Terra di forti contraddizioni, dove ai campi profughi si contrappongono a qualche decina di metri lussuosi alberghi sul mare che non si sa chi possa abitare. Dove la maggior parte dei bambini va in giro scalza. Dove le ragazze vanno a scuola con il velo bianco e la tunica nera. Dove i cristiani sono poco più di mille, cattolici compresi. Ma qui si fanno poche distinzioni. C’è un ecumenismo di fatto per cui i due preti della Sacra Famiglia sono a servizio di tutti e con loro le dodici suore di tre diverse congregazioni: oltre alle rammentate Sorelle della Carità di Madre Teresa, ci sono le suore del Rosario e quelle del Verbo Incarnato. La delegazione dei settimanali cattolici ha poi potuto visitare, oltre alla parrocchia e all’orfanotrofio, molti luoghi della città tra cui quelli maggiormente colpiti durante quella che loro, a Gaza, chiamano la «terza guerra» tra quelle più recenti. Poi la visita alla «Holy Family School», gestita dal Patriarcato latino di Gerusalemme, aiutata anche dalla Cei, attraverso la Fondazione Giovanni Paolo II, grazie ancora ai contributi dell’otto per mille. La «Holy Family» è una delle tre scuole cattoliche attive nella Striscia, rinomata per l’istruzione che fornisce ai suoi allievi, 647 di cui solo 72 di fede cristiana, al punto che anche i membri di Hamas, l’organizzazione politica che governa la Striscia, ambiscono a iscrivervi i loro figli. Alla fine, mentre il piccolo gruppo della Federazione dei settimanali cattolici faceva rientro in Italia dopo complessi controlli prima a Herez e poi all’aeroporto di Tel Aviv, l’infaticabile «abuna Mario» partiva…

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