IL GOVERNO RASSICURA:
“NON SIAMO DI FRONTE A RIEDUCAZIONE DI STATO”

Maria Cecilia Guerra, vice-ministro per il Lavoro con delega per la Pari Opportunità, risponde alle osservazioni sollevate dalle associazioni familiari: “Si tratta di indicazioni, non c’è niente di predeterminato e ogni azione che venga messa in atto viene dibattuta dentro le istituzioni scolastiche”. Lì i genitori devono far sentire la loro voce sulle attività proposte in materia di gender. 
 
Col decreto ministeriale del 16 aprile 2013 ha preso ufficialmente avvio in Italia la “Strategia nazionale Lgbt” (sigla che sta per lesbiche, gay, bisex e transgender). Si tratta del piano programmatico italiano per il triennio 2013-2015 che dà attuazione alla iniziativa sostenuta dal Consiglio d’Europa e denominata “Combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” (vedere i siti www.pariopportunita.gov.it e anche www.unar.it). Alla luce di diverse obiezioni e critiche sollevate da associazioni familiari di ispirazione cristiana sul rischio di un “indottrinamento di Stato” tra i giovani circa l’omosessualità e altre condizioni sessuali Lgbt, il Sir ha intervistato la senatrice del Pd Maria Cecilia Guerra, già sottosegretario al lavoro nel Governo Monti e oggi vice-ministro per il Lavoro nel Governo Letta con delega per la Pari Opportunità, che sovrintende a questa particolare “Strategia”.
 
Viceministro Guerra, ci dica quali sono le premesse di questa ‘Strategia antidiscriminatoria’ nei confronti delle persone Lgbt.
“Un primo aspetto è che non si può negare che esista un problema di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali o lgbt nel nostro Paese. Molto spesso vedo negare questa realtà, ma basta avere contatto con persone di diverso orientamento, e si capisce quanta sofferenza comporti per tali persone, il fatto di dover nascondere, o negare o vivere comunque quasi in semi-clandestinità la propria situazione. Il secondo aspetto è che questi temi vanno affrontati ponendo sempre al centro di tutto il rispetto delle persone. Mi sembra una questione di civiltà”.
 
Come sta partendo tutto il programma?
“La strategia è attiva in quattro campi: scuola, lavoro, comunicazione e sicurezza. Per la scuola, in particolare, ha il suo radicamento nella ‘Settimana contro la violenza’ che si celebra in ottobre, ma poi ogni istituto ha la possibilità di fare programmi su questi temi che si svolgano nel corso dell’anno. C’è grande libertà negli istituti di organizzarsi nel modo che ritengono più opportuno. Poi noi diamo un supporto anche attraverso le associazioni, là dove viene richiesto e cerchiamo di monitorare per capire quali sono gli strumenti più efficaci”.
 
Lei sa che questa “strategia” è stata accusata di puntare ad “imporre un pensiero unico” circa la condizione Lgbt. Cosa ne dice?
“Anzitutto la strategia è stata validata dall’amministrazione, nel senso che c’è un ministro che si assume la responsabilità. Quindi non c’è niente che non sia stato condiviso al massimo livello e quando la si propone sappiamo tutti che nelle scuole ci sono degli organismi i cui rappresentanti sono anche gli studenti ed i genitori. È un processo quindi che non ha niente della volontà di indottrinamento o di dare delle visioni precostituite. Riteniamo che la costruzione della propria identità sessuale non sia messa in forse o minacciata da chi ha un orientamento diverso. Si tratta invece di educare alla ‘relazionÈ, a capire cioè come ci si può rapportare con le altre persone”.
 
Lei esclude quindi che il fatto di avere solo esponenti di associazioni Lgbt che facciano da testimonial possa produrre una sorta di “rieducazione di Stato” unidirezionale? E potrebbero intervenire al loro fianco esponenti di associazioni familiari?
“Non siamo di fronte a una ‘rieducazione…

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