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Da Nazaret a Gerusalemme, un pellegrinaggio alle radici della cristianità. Per Francesco Zanotti, presidente della Federazione italiana settimanali cattolici, “siamo qui anche per scrivere e testimoniare come la comunità cristiana locale vive oggi fra mille difficoltà e una consistenza numerica sempre più ridotta”. Tre le testimonianze raccolte finora: padre Pierbattista Pizzaballa, suor Teresa Hattar e il patriarca Fouad Twal

 

Alle radici della cristianità. Da Nazaret a Gerusalemme, passando per Màalot-Tarshiha. È un vero e proprio pellegrinaggio alla scoperta della fede quello che la Fisc (Federazione italiana che raggruppa 186 settimanali cattolici) sta compiendo in questi giorni in Terra Santa. Un viaggio riservato – ma non solo – ai vincitori del concorso giornalistico “8xmille senza frontiere”, organizzato in collaborazione con il Servizio Cei per la promozione del sostegno economico alla Chiesa. Undici i partecipanti, complessivamente. “Questa esperienza – spiega Francesco Zanotti, presidente della Federazione – intende far conoscere quanto si realizza lontano dai nostri confini con i fondi 8xmille. Siamo qui anche per scrivere e testimoniare come la comunità cristiana locale vive oggi fra mille difficoltà e una consistenza numerica sempre più ridotta”. Una comunità che, anche se debole numericamente e in sofferenza per varie vicende, non si arrende e rilancia il proprio impegno, in modo particolare, sul fronte dell’educazione. Un filo, questo, che si lega con l’impegno pastorale di questo decennio della Chiesa italiana. Tre le testimonianze raccolte finora, che danno anche il quadro delle problematiche qui vissute. 
 
La questione dell’identità. “Il problema principale per la minoranza cristiana in Israele – spiega padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, incontrato a Nazaret – è l’identità. I cristiani, infatti, sono cittadini israeliani ma non sono ebrei e non sono musulmani. Sono, quindi, una minoranza nella minoranza”. Da qui l’importanza del “concetto d’identità”, dal momento che “appartenere a una fede significa appartenere a una comunità”. E poi c’è il dramma dei giovani che “vanno a vivere dove trovano casa e lavoro”, lasciando il proprio territorio. “Non è una situazione facile – racconta padre Pizzaballa – perché qui il territorio è molto importante: se un cristiano esce dalla propria zona e va a vivere in una zona musulmana non è la stessa cosa”. Nonostante ciò, c’è un “dialogo della quotidianità” che va avanti, senza intoppi. Un dialogo che passa anche attraverso le tante scuole cristiane presenti in Terra Santa e frequentate da tutti. Un ultimo pensiero il custode lo riserva al fenomeno dell’emigrazione. “I cristiani – dice – non spariranno qui. La loro presenza è una missione, una testimonianza”.
 
La scuola di Màalot-Tarshiha. Con questa certezza di padre Pizzaballa, prosegue il viaggio verso Gerusalemme con una breve deviazione a Màalot-Tarshiha, una cittadina nel distretto Nord d’Israele. Qui si toccano con mano le parole del custode, grazie all’impegno delle suore dorotee, che gestiscono una scuola materna e stanno costruendo quella elementare per la quale hanno ricevuto fondi dalla Cei e dalla Fondazione Giovanni Paolo II (www.fondazionegiovannipaolo.org). La scuola sarà intestata agli “Angeli di San Giuliano” in ricordo dei 27 bambini morti nel 2002 durante il terremoto a San Giuliano di Puglia (Molise). Ad accogliere la Fisc, oltre alle suore, c’è il Consiglio pastorale della parrocchia greco-melchita di san Giorgio. La scuola, infatti, opera per i fedeli di questo antico rito bizantino. Un esempio di convivenza tra espressioni della stessa fede. “Fate silenzio!”, esordisce la superiora delle dorotee, suor
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