LIBIA

“La situazione nel Mediterraneo è precipitata” e Agostino Clerici, direttore del Settimanale della diocesi (Como), scrive: “La missione ‘Odissea all’alba’ rischia di essere l’alba di un’odissea… I Paesi europei, interessati al petrolio libico, non lo sono altrettanto a condividere solidarmente con l’Italia il peso dell’immigrazione, e a Lampedusa vi sono più profughi che cittadini. La coalizione di ‘volonterosi’ non basta. Serve una responsabilità nuova”. “L’Occidente è intervenuto militarmente in Libia in ossequio alla risoluzione Onu. Non sono assenti polemiche e distinguo sull’uso delle armi. Mentre continua l’esodo dei profughi a Lampedusa, Stato, Regioni e Caritas si organizzano per l’azione umanitaria”, si legge sulla Voce del Popolo (Brescia). Sulla situazione in Libia riflette anche Paolo Busto, direttore della Vita Casalese (Casale Monferrato): “Speriamo che al di là dell’inefficienza dei servizi segreti di tutto il mondo, il dittatore libico sia veramente alla fine e si profili per la zona mediorientale un avvenire positivo. Ma la vera guerra che ci attende è promuovere la libertà dappertutto”. “La guerra è distruzione e morte – osserva Francesco Zanotti, direttore del Corriere Cesenate (Cesena-Sarsina) –. Quando si racconta di raid aerei e oltre 80 ondate solo da parte francese, significa che con quei voli si sono sganciate tonnellate di bombe. E di solito le bombe non fanno il solletico. Di certo ci sono vittime, anche fra i civili. Ormai più nessuno beve la storia delle bombe intelligenti”. “I nomi delle azioni militari sono sempre altisonanti, ma la realtà è un’altra. Esse comportano sempre una forma di guerra. Gli interventi chirurgici compiuti dall’aviazione producono in ogni caso distruzione e morti, seppur ci si augura che siano contenuti nei numeri”, rileva Bruno Cescon, direttore del Popolo (Concordia-Pordenone). Per Sandro Vigani, direttore di Gente Veneta (Venezia), “nell’operazione militare contro Gheddafi l’Italia è quella che rischia di più”. A proposito della Libia, Giampiero Moret, direttore dell’Azione (Vittorio Veneto), afferma: “Le Costituzioni degli Stati democratici, compresa la nostra, mostrano che l’intento profondo che sta alla base di ogni Stato è quello di rendere possibile una vita pacifica e quando i singoli Stati non ce la fanno, sorge l’esigenza di qualcosa di superiore che li sostenga. Tuttavia, come afferma la Chiesa, bisogna procedere con lucido discernimento perché i rischi di effetti imprevisti e disastrosi sono sempre possibili”. Quella in corso in Libia, per Guglielmo Frezza, direttore della Difesa del Popolo (Padova), “è una guerra di ingerenza umanitaria in nome e per conto dell’Onu, ma usiamola questa parola: ci impedisce di dimenticare che in Libia si muore, e la morte di ogni persona – per quanto ‘legale’, per quanto sia il male minore, per quanto definita danno collaterale – è sempre una tragedia di cui dobbiamo assumerci la responsabilità”. A giudizio di Bruno Cappato, direttore della Settimana (Adria-Rovigo), “è difficile non pensare che in fondo quello che muove tutto è l’interesse, al di là delle belle dichiarazioni ufficiali”. “Una guerra non può mai essere definita ‘utile’. La guerra porta solo distruzione e dolore”, sottolinea Alessandro Repossi, direttore del Ticino (Pavia). “Le guerre sono così: sai come iniziano, ma non sai come finiscono e, soprattutto, se finiscono. Lasciano dietro di sé rancori e odi che impediscono una vera costruzione della pace. Preoccupazioni espresse, tra l’altro, all’Angelus di domenica da Benedetto XVI”, evidenzia Davide Maloberti, direttore del Nuovo Giornale (Piacenza-Bobbio). Per il Corriere Apuano (Massa Carrara-Pontremoli), sulla situazione in Libia si possono fare “tante considerazioni, che si associano allo stile politicamente corretto dell’inf…

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