CONFLITTI E INTERNET
La rete e la rivolta

Tunisia, Egitto, Bahrein, Yemen, Marocco, Libia… Paesi in rivolta che, attraverso l’utilizzo di Internet, fanno conoscere, in tempo reale, a tutto il mondo cosa avviene nei singoli territori. Le nuove tecnologie, in particolare i social network, giocano un ruolo fondamentale nelle manifestazioni di protesta che stanno infiammando il Nord Africa e il Medio Oriente: le autorità cercano di bloccare le comunicazioni e la diffusione di materiale “non autorizzato” sul web, mentre gli attivisti fanno del loro meglio per continuare a testimoniare con video e racconti quanto realmente succede. È davvero decisiva la presenza dei social network? Lo abbiamo chiesto a Michele Sorice, docente di sociologia della comunicazione e di comunicazione politica alla “Luiss Guido Carli” (Libera Università internazionale degli studi sociali) di Roma.
 
Quanto sono stati fondamentali Internet e i social network per organizzare e coordinare le rivolte?
“Sono stati importantissimi, anche se è necessario fare alcune precisazioni. Le rivoluzioni non le fanno i social media. Non è però nemmeno vero, come hanno affermato alcuni studiosi, che il peso dei social network sia insignificante. Le rivolte di questi giorni nascono da un forte e diffuso disagio sociale e, ovviamente, dall’assenza di democrazia. Internet, e i social network in particolare, hanno svolto una triplice funzione: la prima è rappresentata dalla capacità di generare connessione sociale e creare reti; la seconda risiede nel ruolo avuto nello svolgimento delle azioni di protesta, come elemento di moltiplicazione dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica internazionale; la terza è la più importante perché è la cornice in cui si muovono i sogni delle persone: i social network hanno contribuito a far crescere la consapevolezza nei soggetti di non essere individui isolati e anonimi. In altre parole, i social network hanno consentito a ciascuno di capire che il proprio problema è quello degli altri. Hanno, cioè, svolto un’azione veramente politica, in quell’accezione alta che ci aveva indicato don Milani: ‘Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia’”.
 
La rivoluzione, quindi, passa dai social network?
“La rivoluzione passa ‘anche’ dai social network. Da soli non possono certo bastare: sono fondamentali per costruire movimenti, per far crescere consapevolezza, per costruire reti e alimentare l’azione sociale. C’è, però, bisogno anche di un progetto politico, di competenze avanzate, di un’idea per il futuro”.
 
Le nuove tecnologie stanno cambiando la geo-politica mondiale?
“Non direttamente, però sicuramente impongono un ripensamento degli schemi del passato. Le relazioni fra Stati non si esauriscono più nella diplomazia e nei rapporti più o meno amicali fra i leader. La comunicazione impone un regime di maggiore trasparenza e non è un caso che i regimi totalitari cerchino di colpire i media e la rete; non è un caso che anche in molti Paesi democratici ci siano manovre economiche per creare conglomerati, che sono di fatto monopolistici, e finanche farneticanti proposte di censura a Internet. Aggiungerei che non è un caso che Benedetto XVI, nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, abbia richiamato da una parte alla responsabilità e dall’altra al valore dialogico dei social network. Le nuove tecnologie non cambiano la geo-politica mondiale ma possono aiutare gli uomini e le donne di buona volontà a farlo”.
 
Emerge, però, anche un problema di attendibilità delle informazioni. In che modo porsi dinanzi alle notizie che giungono dai social network?
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