Essere voce dei senza voce. Mai come in questo momento è parso di cogliere appropriato lo slogan che accompagna da sempre la storia dei 186 giornali diocesani, sparsi su tutto il territorio nazionale e raggruppati nella Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici). Sfogliare le diverse edizioni di questi ultimi due anni è un colpo al cuore. Ci simbatte in storie e drammi, ai più sconosciuti, che hanno come cifra comune la grande crisi economica. Solo adesso, dicono gli analisti, questa sta leggermente allentando la sua morsa; anche se i suoi segni restano come tracce indelebili su tutto il Paese. Le difficoltà delle famiglie a tirare avanti fino alla fine del mese, gli affanni e le sofferenze degli imprenditori, lo smarrimento di chi, licenziato, non riesce più a reinserirsi nel mondo del lavoro… Vissuti che sintrecciano con chi vive le difficoltà delle grandi aziende o dei grandi poli industriali: Fiat (Mirafiori), Ilva (Taranto), Indesit (Fabriano), Natuzzi (Puglia e Basilicata).
Storie di solidarietà e condivisione. I nostri giornali – spiega Francesco Zanotti, presidente della Fisc – sono, da sempre, interpreti del sentire della gente. Con questo spirito si sintonizzano con le questioni che riguardano il territorio. Ciò vale anche oggi in occasione delle diverse chiusure di aziende. Con le famiglie che rischiano di restare senza reddito, il giornale diocesano si fa compagno di viaggio, condividendo un tratto di strada difficile da percorrere. Anzi, aggiunge Zanotti, i nostri giornali non possono non interessarsi a queste vicende. Uscire, andare incontro agli ultimi nelle periferie delle città e in quelle esistenziali, come chiede a tutti noi Papa Francesco, per raccontare le mille storie di solidarietà e di condivisione di cui sono ricche le nostre comunità locali. È lo spirito, ad esempio, che muove Alessandro Repossi, direttore del Ticino (Pavia), nellaffrontare la decisione della multinazionale farmaceutica Merck Sharp & Dhome di chiudere lo stabilimento pavese entro la fine del 2014. Se ciò accadrà, dice Repossi, gli attuali 270 dipendenti resteranno senza unoccupazione: e, insieme a loro, faranno la stessa fine altre 130 persone che oggi operano in ditte dellindotto farmaceutico. La ricaduta sarebbe pesantissima per tutta la città. Ecco perché nessuno, che abbia a cuore le sorti della nostra comunità, può permettersi di fare spallucce di fronte al dramma dei lavoratori della Merck.
Un luogo simbolico. Scenario più drammatico a Mantova, dove con la chiusura della cartiera Burgo si è consumata la fine di unera. Lazienda, infatti, opera sul territorio mantovano da 111 anni. Opera… il verbo al presente è voluto perché i 188 operai di mollare non ne vogliono proprio sapere. E così, dopo i tanti presidi davanti allo stabilimento, si sono inventati – sempre lì davanti – lorto biologico a chilometro zero, coltivando, insieme a verdure e ortaggi, la speranza che lazienda possa riprendere la produzione ferma ormai da febbraio. Un auspicio, questo, ribadito più volte dalla Cittadella (giornale diocesano) che, a ragione, considera la cartiera un luogo simbolo da mantenere vivo, perché lì cè la nostra storia. In una lunga intervista al settimanale, Giovanni Mantovanelli, leader sindacale ed ex dipendente della Burgo, dove ha lavorato per oltre 40 anni, sintetizza le cause che hanno portato alla chiusura: Lo stabilimento è programmato per realizzare ununica tipologia di carta, quella da giornale, per i quotidiani. E con la rivoluzione digitale in atto…. Eppure bastava poco: nei giorni prima della chiusura, riferisce Mantovanelli, si è svolta una sorta di prova in cui è stata realizzata una carta da utilizzare per varie destinazioni, comunque sempre nellambito del packaging,…