VIOLENZE IN TERRA SANTA

Desta molta preoccupazione la situazione in Terra Santa. Di fronte all’escalation delle violenze tra israeliani e palestinesi, Davide Maloberti, direttore del Nuovo Giornale (Piacenza-Bobbio), scrive: “Pregare non è più solo strappare una grazia, ma è esercitare la fede, cioè credere che Dio non abbandona l’uomo a una storia senza senso, in balìa solo di se stesso. Esercitare la fede – dice il Vangelo – permette di spostare le montagne. È l’impegno di un’’estate di lavoro’ affidato a ciascuno di noi. I frutti della nostra preghiera li potremo verificare nella nostra vita quotidiana: ‘donaci il coraggio di dire: mai più la guerra!; con la guerra tutto è distrutto!”. In realtà, fa notare il Ticino (Pavia), “la maggior parte dei cittadini di Israele e dei Territori palestinesi vuole vivere in pace e lasciare una condizione migliore ai propri figli, come tutti noi. Le vittime di questi giorni, ma dovremmo dire anni e decenni, sono il risultato dell’assenza della politica, intesa nel suo significato di prevenzione del conflitto attraverso la mediazione ed il compromesso”. Così come “in tutti i conflitti – rileva Pierluigi Sini, direttore della Voce del Logudoro (Ozieri) – a pagare sono gli innocenti e in modo speciali i bambini e i civili. Indifesi e senza un perché, un ordigno ha centrato un orfanotrofio uccidendo tre disabili. Scene come queste si ripetono ogni giorno e da entrambi le parti, allo stato attuale, non vi è la volontà per far cessare le ostilità”. Nel “tormentato Oriente ogni motivazione è stata giustificativa di numerosi morti, dove, finché si costruiranno muri per difendersi dal nemico, il desiderio di Isaia di trovare il lupo e l’agnello pascolare insieme, non potrà avverarsi. Dio non interviene là dove l’uomo non collabora, là dove, esercitando la propria libertà, cova odio e rancore”: è il parere di Pietro Pompei, direttore dell’Ancora (San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto). Bruno Cappato, direttore della Settimana (Adria-Rovigo), ammette: “Quando dalla Palestina abbiamo visto accolto l’invito alla preghiera fatto da Papa Francesco, abbiamo gioito e tremato. Gioito perché avevamo la forte speranza che fosse una iniziativa che convertiva i cuori e faceva approdare alla tanto desiderata pace, tremato perché avvertivamo che ci poteva essere la formalità delle parole e dei gesti, ma non la ricchezza di un dialogo vero e trasformatore delle differenze e dei contrasti”. Anche la Difesa del Popolo (Padova) ricorda l’incontro di preghiera in Vaticano rilanciando una nota Sir a firma di Cristiana Dobner: “Dinanzi ai nostri occhi pulsa ancora, con tutto il suo vigore, quell’ulivo piantato nel Giardino della Pace in Vaticano. Non è stata una mossa diplomatica e ancor meno un ingenuo appello, è stato un grido che deve lacerare diversamente. Esattamente la nostra coscienza. Non quella civica che demanda ai governanti e quindi si sente esente da risoluzioni, bensì quella quotidiana, comune, banale, feriale”. Per Vittorio Croce, direttore della Gazzetta d’Asti (Asti), “pregare per la pace non significa chiedere che Dio cambi il suo parere e il suo volere, perché sono già quelli giusti. Si domanda invece che Lui converta il nostro cuore e il nostro comportamento adeguandolo alla sua volontà di pace e addirittura di perdono”.

 
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