VEDI GAZA E POI MUORI

 
Solo chi ha avuto la possibilità di visitare un carcere può provare a immaginare cosa significhi entrare a Gaza, una striscia di terra lunga 40 km e larga al massimo 10. Un territorio che si estende per appena 378 km², tra i più densamente popolati del pianeta con 1 milione e 700 mila abitanti: per questo in molti l’hanno definita «il carcere a cielo aperto più grande del mondo». La frontiera di Erez separa lo stato ebraico dalla Striscia: si presenta a prima vista come un grande terminal aeroportuale ma una volta varcata la prima porta a vetri e incontrata la prima mitraglietta si capisce di essere in un luogo diverso. Ci si può presentare al controllo passaporti solo con un permesso chiesto con mesi di anticipo, chi ha il via libera di Israele può passare. Controllo del bagaglio e una serie di tornelli fino all’ultima porta che si apre su un piccolo spazio coperto. Voltandosi, oltre una rete, si vede il muro che divide Israele dal territorio palestinese e varie torrette di avvistamento. Di fronte si presenta subito una sorta di tunnel coperto da un tettuccio e protetto ai lati da una rete, è la “terra di nessuno”, 1250 metri che portano agli uffici di frontiera di Fatàh. Qui ci aspetta “abuna” Mario, padre Mario Da Silva, il religioso brasiliano che è parroco di Gaza; ci accoglie sorridente e felice di ricevere una delle rare visite di cristiani. Superato il secondo posto di blocco di Hamas, l’organizzazione che di fatto controlla la Striscia, si apre un panorama desolante: l’ordine e la pulizia israeliane sono sostituite dalle macerie dei quartieri periferici di Gaza, scheletri di palazzi, strade semidistrutte sulle quali si avanza nel caos regolato solo dai colpi di clacson o si incede su carretti trainati da muli o cavalli. Cumuli di terra o di immondizie, quello che era un ospedale, sbriciolato dai bombardamenti, e bambini, bambini ovunque. Soli, a due a due, in gruppo o in fila, zainetto in spalla, sono dappertutto, molti scalzi giocano davanti alle case o a ciò che ne rimane – dopo tre guerre nel giro di nove anni –, tanti altri li incontriamo a scuola. Entriamo all’Holy Family School (Scuola della Sacra Famiglia), la più grande delle tre scuole cattoliche della Striscia gestite dal Patriarcato latino: 647 studenti, solo 72 dei quali cristiani, l’unica con classi miste. Ne visitiamo alcune, gli alunni hanno dai 6 ai 18 anni, colpiscono per la vivacità del loro sguardo e la maturità dei loro discorsi. «La nostra resistenza è studiare – ci racconta una quindicenne – speriamo e sogniamo che un giorno le cose possano cambiare. Io sogno di continuare a studiare, essere una donna realizzata e poter aiutare anche solo una persona nella vita». Gli attentati di Parigi sono appena passati, «noi non siamo terroristi, siamo contro e li condanniamo: conosciamo la sofferenza dei parigini perché l’abbiamo vissuta e la viviamo qui ogni giorno». Le fa eco un compagno: «Quando uccidi qualcuno uccidi un sogno, la vita di chi può rendere il mondo migliore. Dobbiamo restare uniti per cambiare». Nel cortile ragazzi e ragazze giocano, li lasciamo per arrivare alla parrocchia della Sacra Famiglia. Ad aspettarci c’è la piccola comunità di suore dell’Istituto del Verbo Incarnato di cui anche don Mario fa parte. Sorridono, nonostante tutto. Anche se vivono nella paura, con il piccolo gregge di 130 cattolici qui rimasti. Per volontà del Patriarca, anche qui si aprirà una Porta Santa il 20 dicembre per il Giubileo della Misericordia. Un segno bellissimo per chi non avrebbe mai potuto raggiungere Gerusalemme o Nazareth, dove si apriranno le altre due previste nella diocesi. Nel pomeriggio i ragazzi fanno oratorio e catechesi, stanno insieme semplicemente, con poco. Accanto alla chiesa sorge la casa delle suore di Madre Teresa, la “casa dell’amore” è scritto sul cancelletto d’ingresso. Ospita 42 bambine e bambini disabili, quelli che nessuno vuole, le suore li accudiscono con amore vivendo solo di provvidenza. Un incontro che fa…

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