UNA NUOVA “VOCE” PER TORINO

Giornalismo su carta, uso degli strumenti offerti dal Web e contatto con il territorio: sono questi i tre pilastri portanti del progetto che sta dietro al nuovo settimanale diocesano di Torino La voce e il tempo. Un progetto ambizioso che nasce dalla preziosa eredità di due testate storiche, La voce del popolo e Il nostro tempo, ma soprattutto dalla voglia di non cedere davanti alla crisi dell’editoria e alla «disaffezione» dei lettori dai giornali. Il nuovo diocesano è in edicola dall’inizio di ottobre ed è guidato da Alberto Riccadonna, che non nasconde l’entusiasmo per questa nuova avventura.
Riccadonna, perché non avete preferito puntare su Internet invece che sulla carta?
I motivi sono tanti: raccogliamo l’eredità di due tradizioni importanti, di due testate preziose per la diocesi. Questa eredità è espressa nella nuova testata, La voce e il tempo, che è però anche una dichiarazione programmatica: l’intenzione, infatti, è quella di pronunciare parole significative dentro il tempo attuale. Un obiettivo nel quale crede molto l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, il quale ha appoggiato e spinto con decisione la nascita di questo progetto. Va detto, però, che il nuovo giornale cammina «su due gambe»: da un lato il settimanale diocesano con le sue 32 pagine, ottomila copie tirate, cinquemila abbonamenti e la presenza in mille edicole; dall’altro il servizio Web della testata, coordinato da Luca Rolandi. Il sito, in- fatti, offre all’intera comunità diocesana non solo un servizio quotidiano di aggiornamento, ma anche l’accesso a preziose fonti come l’archivio fotografico che contiene di fatto la storia della diocesi. Tra la carta e Internet Ma rimanere solo sul Web significava in realtà cessare di esistere, confondersi dentro il flusso indistinto dell’informazione online. Se da un lato, infatti, il nuovo giornale risponde alle esigenze di razionalizzare le risorse, esso mette a disposizione anche uno strumento insostituibile nella lettura della realtà.
In che modo avviene questo?
Le notizie su Internet arrivano frammentate ed è difficile creare un percorso di lettura che contestualizzi e interpreti i fatti all’interno di una visione organica. La carta – anche se poi in realtà il giornale può essere letto anche solo nella versione elettronica – permette, invece, proprio questo: offre una visione, aiuta a comprendere, genera percorsi di lettura. Ovviamente tutto questo non è facile e oggi gli ostacoli sono tanti, inoltre le nuove tecnologie sono fondamentali per alimentare questo percorso.
Ma qual è l’itinerario ideale che volete offrire ai vostri lettori?
La scrittura del giornale, così come la costruzione della notizia sul sito, parte sempre dal locale, da ciò che succede sul territorio, per allargare poi la prospettiva al contesto nazionale e mondiale. In questo modo cerchiamo di valorizzare il locale aiutando a comprendere che esso s’inserisce in un contesto più ampio. E poi ci «giochiamo» il legame con il territorio anche in prima persona. Ciò avviene ad esempio con la pubblicazione di quattro dorsi locali dedicati ad altrettante zone della diocesi che escono ogni due mesi assieme al giornale: il dorso di Collegno stampa 11mila copie, che si aggiungono alle 8mila settimanali, e ha molta visibilità.
Questo vi permette di curare la rete dei collaboratori quindi?
Certo, ma no solo: grazie agli incontri che facciamo nelle parrocchie abbiamo la possibilità di intessere rapporti preziosi e di far crescere anche la «connessione» delle parrocchie con la diocesi: in questo modo il giornale diventa un «oggetto» concreto attorno al quale si costruisce la comunità.
MATTEO LIUT
 
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