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Sopravvivenza a rischio

Da sempre navigano nell’incertezza, con contributi pubblici in calo anno dopo anno, ma ora in gioco è la stessa sopravvivenza di un centinaio di testate che “all’inizio del 2012 potrebbero essere costrette a chiudere”. Il motivo: l’ennesimo taglio ai fondi pubblici all’editoria che si va configurando con le manovre economiche 2011. La denuncia è giunta dall’assemblea nazionale dell’editoria cooperativa, non profit e di partito, riunita il 28 settembre a Montecitorio per iniziativa di Mediacoop, Fnsi, Articolo 21, Fisc, Comitato per la libertà e il diritto all’informazione, alla cultura e allo spettacolo, Federcultura-Confcooperative.
 
Il rischio della chiusura. “Il fondo per l’editoria è stato continuamente eroso in questi anni, passando da 240 milioni di euro a 80 milioni per il 2011”, ha rilevato il presidente onorario di Mediacoop, Lelio Grassucci. Inoltre, “per il 2012 e il 2013 sono stati stanziati 194 milioni di euro”, dei quali – detratte voci di spesa come quelle per vecchio debito con Poste italiane spa (50 milioni) e la convenzione con la Rai per il servizio pubblico (40 milioni) – “per i contributi diretti restano circa 80 milioni rispetto a un fabbisogno di 170-180 milioni”. “E non siamo neppure sicuri che questi soldi, alla fine, arrivino…”, ha aggiunto Grassucci sottolineando la difficoltà di fare impresa in una simile situazione. “Il rischio è che il prossimo anno molti di noi non ci siano più”: un pericolo che porterebbe alla scomparsa di “500 mila copie al giorno di giornali”, “400 milioni di euro di giro d’affari in meno”, oltre a “4 mila tra giornalisti e poligrafici senza lavoro”.
 
Iva sui gadget e convenzione Rai. Come fare? Due le proposte, che il governo dovrebbe introdurre nel disegno di legge di stabilità da presentare entro il 15 ottobre: Iva ordinaria per i gadget che si vendono in edicola (e che non hanno un contenuto editoriale), così come avviene per la loro vendita nei negozi, e non pagare con le risorse destinate all’editoria la convenzione per il servizio pubblico della Rai. “Non si capisce perché una bambolina in edicola abbia l’Iva al 4%, mentre nel negozio di fianco è al 21%”, ha precisato Grassucci: così “s’incasserebbero 40-45 milioni di euro”, che sommati a quelli dati alla Rai andrebbero a ripristinare altri 80 milioni di euro essenziali per la sopravvivenza di tante piccole testate.
 
Rigore ed equità. L’importante, però, è che “i contributi vadano ai giornali veri, e non a piccoli profittatori”, come invece talora avviene, e lo ha recentemente dimostrato la vicenda de “L’Avanti” di Valter Lavitola. Un richiamo che venne avanzato per la prima volta – tra l’indifferenza generale – proprio dalla Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), ha rimarcato il presidente Francesco Zanotti citando il suo predecessore alla guida della Federazione, don Giorgio Zucchelli, allorquando in un incontro a Palazzo Chigi esclamò che “è ora di finirla di dare contributi a giornali che non esistono”. Rigore ed equità sono le parole chiave usate da Zanotti, ricordando che “fuori da queste stanze c’è un Paese reale, c’è la gente a cui anche noi diamo voce, che non appare sui grandi media”. Uomini e donne che vivono nelle “periferie d’Italia” e conoscono più facilmente il direttore del locale settimanale diocesano piuttosto che le firme di punta dei maggiori quotidiani. Per questo “ogni volta che chiude un giornale – ha ammonito il presidente della Fisc – è una perdita per tutti”.
 
Rivoluzione, non riforma. All’assemblea, dopo un fitto dibattito tra parlamentari e direttori, è intervenuto Paolo Bonaiuti, sottosegretario con delega per l’informazione e l’editoria, assicurando – a nome del governo – che “alla fine di quest’anno potremo con tutta pro…

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La FISC nasce il 26 novembre 1966 come associazione dei numerosi settimanali diocesani, soprattutto con l’intento esplicito di raccogliere l’eredità culturale, sociale ed ecclesiale delle varie testate sorte già alla fine dell’800, nel solco del Movimento cattolico italiano e alla luce dell’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII.

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