Ridere nella malattia con “dente sorridente”

Anche se Natale è passato, la voglia di fare del bene non va in soffitta con l’albero e il presepio. Gianluca Nale, alias dottor Dente Sorridente, continuerà nel compito che si è prefisso: strappare un sorriso a chi ha mille motivi per essere triste, aiutato da un grosso naso di plastica, qualche palloncino e tanta disponibilità di cuore.
«Ho pensato alla clownterapia per entrare in contatto con persone nella sofferenza – racconta il 47enne leoniceno -. Un cammino spirituale iniziato nove anni fa, qualche corso di teatro e l’esperienza con Telefono Amico mi hanno portato nel 2010 a incontrare l’associazione Essere Clown Verona. Cento ore di apprendistato tra clownerie e contatto coi pazienti a Borgo Trento, quindi il servizio
effettivo in corsia, in alcuni pensionati per anziani e nel carcere di Montorio.
Tra le celle abbiamo cominciato in sordina, proponendo un evento per la festa della mamma che ha avuto talmente successo tra detenuti e familiari da indurre il direttore del penitenziario a chiederci una visita mensile». La molla forte, la spiegazione sicura, quando la ragione getta la spugna, è la fede. Con l’Unitalsi in pellegrinaggio, a portare coperte e uno sprazzo di luce ai senzatetto insieme alle Ronde della Carità o a offrire un momento di felicità a un malato terminale, sempre in compagnia di “qualcuno”.
«Sento di essere, nel mio piccolo, uno strumento nelle mani di Dio: così riesco a donarmi a questi “ultimi”, che sono l’immagine stessa di Gesù – spiega Gianluca -. Può essere pesante, sicuramente è impegnativo, ma quando vedo l’impatto della nostra visita, tutto passa: anche la scienza riconosce gli effetti benefici della terapia del sorriso. Ho invocato lo Spirito Santo prima di avvicinarmi alla speaker radiofonica in fin di vita a cui abbiamo regalato dieci minuti di gioia inattesa, o a far soffiare con le bolle di sapone il bambino stanco di collaborare con i sanitari. Andiamo per portare qualcosa, molto spesso siamo noi a portar via, anche se bisogna saper “scaricare” l’ondata d’angoscia che ci arriva addosso insieme alle parole che ascoltiamo: per questo ci muoviamo in coppia, non è raro aver bisogno di una pausa per sfogarsi con le lacrime».
L’ultima frontiera in ordine di tempo è stata l’Africa, la prossima, forse, l’India. «Sono sempre stato attratto dal continente nero e diverse volte ho accompagnato altri volontari presso scuole e case famiglia in Kenia, nella zona di Malindi. La scorsa estate ho visitato l’Ospedale cattolico con un chirurgo ortopedico italiano: pazienti morsi da animali o affetti dal virus dell’Hiv, situazioni familiari difficili. La Messa di prima mattina e poi via con bolle e palloncini. Esperienza ancora più forte nell’Uruma, il loro Cottolengo. Ho cercato di trasmettere queste emozioni agli studenti dell’Agraria, agli Scout e agli altri gruppi della Parrocchia che ho incontrato: ho trovato attenzione, domande e coinvolgimento».
di Stefano Canola
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