È il momento di non mollare. Occorre resistere alla tentazione di ridurre pagine e contenuti per tentare di fare quadrare i conti. È vero, il periodo è di quelli durissimi. Tutta leditoria attraversa una fase drammatica. Alla drastica diminuzione del sostegno da parte dello Stato, si accompagna una lenta ma inesorabile perdita di copie, di abbonamenti, di pubblicità. Daltronde, la crisi economica che non accenna ad allentare la sua presa, non favorisce alcuna ripresa.
Anche i giornali diocesani avvertono queste difficoltà. La stampa locale, nel suo complesso, tiene maggiormente, ma la concorrenza del Web e la minore disponibilità economica da parte delle famiglie costringono gli editori a rivedere prospettive e budget. In questa fase di totale rivisitazione di strategie non va comunque persa di vista la mission. I nostri fogli, artigianali o evoluti che siano, tutti figli del loro territorio, di storie e di culture diverse, sono espressione di una comunità cristiana viva, inserita appieno nel mondo. Ora il vero rischio è quello che da tempo definisco come «riduzionismo». Per cercare di mettere un freno a bilanci sempre più in rosso, ci si rintana nel recinto. Si tagliano le notizie che vengono dallItalia e dal mondo. Si escludono i fatti meno ecclesiali. Ci si rifugia in casa, proprio come si fa quando si viene bombardati: si corre nei bunker. È esattamente il contrario di quanto domanda papa Francesco. Lui vuole una Chiesa in uscita, verso le periferie esistenziali e geografiche.
I nostri giornali sono avamposti nellevangelizzazione. Così furono definiti al convegno di Verona, nel 2006. Definizione quanto mai attuale. Portano la parola della Chiesa anche dove non arriva quella dei pastori. Giungono nelle case di chi non frequenta associazioni e movimenti cattolici. Grazie al territorio, autentico grimaldello per scardinare il muro dellindifferenza, sono in grado di fornire una lettura di quanto accada alla luce del Vangelo. Unopportunità unica, da non sottovalutare, ma assolutamente da traghettare al di là della crisi.
Anche i giornali diocesani avvertono queste difficoltà. La stampa locale, nel suo complesso, tiene maggiormente, ma la concorrenza del Web e la minore disponibilità economica da parte delle famiglie costringono gli editori a rivedere prospettive e budget. In questa fase di totale rivisitazione di strategie non va comunque persa di vista la mission. I nostri fogli, artigianali o evoluti che siano, tutti figli del loro territorio, di storie e di culture diverse, sono espressione di una comunità cristiana viva, inserita appieno nel mondo. Ora il vero rischio è quello che da tempo definisco come «riduzionismo». Per cercare di mettere un freno a bilanci sempre più in rosso, ci si rintana nel recinto. Si tagliano le notizie che vengono dallItalia e dal mondo. Si escludono i fatti meno ecclesiali. Ci si rifugia in casa, proprio come si fa quando si viene bombardati: si corre nei bunker. È esattamente il contrario di quanto domanda papa Francesco. Lui vuole una Chiesa in uscita, verso le periferie esistenziali e geografiche.
I nostri giornali sono avamposti nellevangelizzazione. Così furono definiti al convegno di Verona, nel 2006. Definizione quanto mai attuale. Portano la parola della Chiesa anche dove non arriva quella dei pastori. Giungono nelle case di chi non frequenta associazioni e movimenti cattolici. Grazie al territorio, autentico grimaldello per scardinare il muro dellindifferenza, sono in grado di fornire una lettura di quanto accada alla luce del Vangelo. Unopportunità unica, da non sottovalutare, ma assolutamente da traghettare al di là della crisi.
Francesco Zanotti
da Avvenire del 26 maggio 2015 pag. 26