REPORTAGE TERRA SANTA

Gerusalemme, Gaza e Betlemme; è stato questo l’itinerario della visita, terminata venerdì 20 novembre 2015, della delegazione dei giornalisti Fisc (Federazione italiana settimanali cattolici) in Terra Santa, organizzata con il servizio Cei per gli Interventi caritativi a favore dei paesi del Terzo Mondo, nell’ambito del concorso “8X1000 senza frontiere”.
Non è stato solo un pellegrinaggio ma un vero e proprio cammino in mezzo a due popoli così diversi ma così vicini. Israele e Palestina due facce della stessa medaglia, alla ricerca di soluzioni che permettano loro di vivere pacificamente all’interno di frontiere certe e sicure. Soluzioni però che sembrano essere ancora molto lontane. Ma la speranza di un futuro migliore non svanisce e a dimostrarlo sono i pellegrini e le persone del luogo che oltre a pregare per i loro problemi, continuano a ricordare i recenti attentati terroristici. A Gerusalemme, città divisa tra due popoli, ci si ritrova uniti per pregare, in tutte le lingue del mondo ricordando ancora le vittime di Parigi, nel santuario del Padre Nostro, che appartiene all’organizzazione francese “Oeuvre d’Orient”, consacrata interamente all’aiuto dei cristiani di Oriente e che fa capo direttamente all’arcivescovo di Parigi. Verso il cielo salgono preghiere anche dalla chiesa del Santo Sepolcro, dal muro del pianto, dalla spianata del tempio e non solo. Si prega per la pace nel mondo senza però dimenticare la situazione tra Israele e Palestina e a dirlo è il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal: “Purtroppo oggi si parla più poco della nostra situazione, l’attenzione si è spostata verso altre nazioni, ma bisogna costantemente informare le coscienze su quello che quotidianamente avviene in questa terra, unità della santità ma profondamente divisa da due nazioni. Bisogna aiutare i due popoli a raggiungere la pace, cercando di impedire questi continui atti di violenza, che non risolveranno mai la situazione”.
Anche a Gaza, terra dimenticata dagli uomini ma non da Dio, si prega. E a dircelo sono proprio i pochissimi cristiani; la loro presenza sovrasta assieme ai crocifissi appesi in ogni aula della scuola cattolica “Holy family”, dove la Cei ha finanziato la ricostruzione di un salone multidisciplinare, distrutto nel 2014 durante la guerra. In questo istituto, 647 studenti, di cui solo 72 cristiani, studiano imparando a convivere al di là delle differenze e delle difficoltà legate alle guerre. “Siamo veramente dispiaciuti per tutte quelle persone che stanno subendo quello che noi conosciamo già, – afferma una studentessa – sogniamo un futuro migliore e chiediamo al mondo di non smettere mai di pregare per noi e di non dimenticarci. Resistiamo studiando e vogliamo continuare a sperare in un Paese diverso. Non vogliamo diventare dei terroristi”. Anche le donne del centro “Um al Nasser” desiderano un futuro migliore. Grazie all’associazione italiana “Vento di Terra” anche le donne musulmane imparano lavori manuali all’interno di una struttura, realizzata grazie ai contributi della Comunità europea, sita a fianco di un terreno in cui, a breve, verrà ricostruito un asilo, già bombardato nell’ultima guerra, con i contribuiti dell’8X1000. La Chiesa italiana infatti grazie alle offerte e alla fiducia che gli italiani hanno verso di Lei riesce ad essere vicina a tutti i paesi del mondo, anche quelli più dimenticati. A ricordalo è il parroco don Mario, brasiliano che vive a Gaza da 3 anni: “Le porte della nostra Chiesa sono aperte a tutti i cristiani, cattolici o ortodossi per noi non fa differenza, e anche ai disabili”. All’interno della parrocchia è anche presente una casa dove le suore di Madre Teresa accolgono 44 bambini con gravi disabilità fisiche e mentali. “I bambini che vengono messi da parte e che perdono il posto in una società molto chiusa che non accetta nessun tipo di diversità, possono ritrovare il loro posto qui con noi – afferma don Mario -. La nostra comunità è piccolissim…

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