“QUANDO DICIAMO PERIFERIE”

Si fa presto a dire periferie. Dopo lo sdoganamento ricevuto da papa Francesco che le ha citate in numerose occasioni e non manca mai di tornare in argomento, oggi tutti parlano e discutono di periferie. Ma cosa siano realmente e quale significato abbiano per tutti noi non è per nulla semplice da comprendere.

 
Jorge Mario Bergoglio viene quasi dalla fine del mondo. È un esperto in materia. Noi, invece, abitiamo di qua dall’oceano, siamo tra i fortunati della Terra, tra coloro che sciupano, che vivono nell’abbondanza e poi si lamentano della crisi globale, quella che sta aiutando tutti quanti ad essere un po’ più sobri, più realisti, anche più onesti con sé stessi.
 
Quando diciamo periferie, pensiamo alle nostre città, ai quartieri dormitorio, alle zone meno centrali, a quegli agglomerati urbani che hanno sì qualche problema, ma non sono neppure lontanamente paragonabili a ciò che avviene lontano da noi. Nelle metropoli di mezzo mondo, accanto alle vie lussuose e ai grandi alberghi, convivono milioni di persone in condizioni disumane.
 
Occorre alzare lo sguardo. È assolutamente necessario anche per noi che viviamo il territorio e che del territorio abbiamo fatto la nostra ragione di vita. Non possiamo fare finta di non vedere, di non sapere, di non conoscere. Certo, tv e internet portano dentro le nostre case tantissime immagini, ma non sono nulla rispetto a una realtà che va vista, vissuta, toccata.
 
Locale e globale non si possono separare. Lo sappiamo benissimo noi dei settimanali diocesani. Grazie ai servizi dell’agenzia Sir, nata nella seconda metà degli anni Ottanta su iniziativa dei periodici cattolici, ogni giorno mettiamo in pagina reportage da ogni angolo del pianeta. Sì, perché non possiamo fermarci a ciò che accade attorno a noi e limitarci alla sequela di lamentele di cui sono infarcite le nostre giornate e anche le nostre cronache. Dobbiamo uscire dal nostro quieto vivere e anche da noi stessi. Dobbiamo metterci in ascolto attento, non solo con le orecchie, ma anche con gli occhi e soprattutto col cuore.
 
Sono stato a Rio de Janeiro con la Fondazione Ratzinger in occasione del convegno internazionale del 2012. Non c’era ancora stata la Gmg con papa Francesco né tantomeno i Mondiali di calcio. Rio è una megalopoli che affascina. Il Cristo Redentore sovrasta la città da ogni angolo. Una città intrigante, stupenda con i suoi golfi, le sue insenature, le sue spiagge magnifiche e famosissime di Copacabana e Ipanema. Ma Rio è anche la città delle periferie imbarazzanti, dei milioni di uomini, donne, vecchi e bambini che vivono ammassati nelle favelas dove noi non ci fermeremmo neppure un giorno.
 
Quelle sono le autentiche periferie. Questo è lo scatto in avanti cui siamo chiamati tutti quanti. Periferie geografiche e periferie esistenziali. Le prime magari lontane fisicamente, le seconde più vicine, ma forse più nascoste e più difficili da individuare. Comunque periferie da sondare, da visitare, da percorrere, da condividere. Non si può restare indifferenti al grido d’aiuto che arriva dal sud del pianeta. Ecco perché la globalizzazione interessa e interpella anche chi vive sul territorio. Locale e globale, binomio inscindibile, che piaccia o meno.
 
Quest’anno la Fondazione Ratzinger in ottobre ci porterà a Medellín, in Colombia. Un’altra occasione per vedere, capire ed agire. Anche dopo questa nuova esperienza, per noi non sarà più la stessa realtà, neppure quella che viviamo alle nostre quiete latitudini. “Dopo aver visto, non puoi più fare finta di non avere visto”, ricordava spesso don Oreste Benzi. Un monito validissimo ancora oggi per ciascuno di noi: essere compagni di viaggio dell’uomo di oggi, ovunque si trovi, vicino o lontano. E, alla maniera dei discepoli di Emmaus, il compagno di viaggio è colui che condivide tutto e non tiene nulla per sé. Un’autentica rivoluzione…

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