Per sostanziare, sostenere e incoraggiare la partecipazione al Premio Fallani, destinato ai giornalisti dei settimanali Fisc, verranno pubblicate periodicamente alcune note di particolare spessore. Iniziamo con la riflessione del cardinale Roger Etchegaray sulle sorti della casa comune europea, tratta dal suo libro L’homme, à quel prix? (La Martinière, 2012). Presidente emerito del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, il card. Etchegaray è stato il promotore del Consiglio delle conferenze episcopali europee, di cui è stato il primo presidente dal 1971 al 1979. Nel capitolo qui riportato, il cardinale Etchegaray rilancia la necessità di intraprendere una pedagogia dellEuropa sul territorio. La traduzione è a cura di Marta Fallani
Vecchia Europa, come molti ti chiamano, tu non sai neanche la tua età né le tue dimensioni! E io stesso sono incapace di elencare tutte le tue radici e di circoscrivere i tuoi confini. A volte ti vedo come la piccola penisola occidentale di un immenso Oriente… Si può andare a piedi da Compostela a Vladivostok e ho conosciuto un cinese che aveva camminato zaino in spalla da Pechino a Parigi! Mi sento unito a te da un matrimonio d’amore e non di interesse; ma più ancora dalla passione del servizio al Vangelo. Chi vuole darti una nuova giovinezza, constata con amarezza che attraversi una crisi che potrebbe mettere in dubbio il tuo avvenire. Eccoti consumata dal declino demografico (nel 1914 rappresentavi il 25% della popolazione mondiale, oggi il 12%) e minata dalle recrudescenze di nuovi nazionalismi.
Ti prego, non lasciar cadere le tue braccia, che portano il segno di tutto quello che hai fatto al seguito dei tuoi padri fondatori (Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman e Spaak) per costruire, mattone su mattone, la tua casa comune, dove presto (1 luglio 2013) abiterà un 28° Paese: la Croazia.
Disegnata dalla geografia, modellata dalla storia, l’Europa porta ancora il nome che le diedero i Greci dell’antichità. Oggi, mentre il suo corpo cresce, è la sua anima quella che cerca di addentrare, per far emergere una coscienza comune al di là degli obiettivi economici, finanziari e politici. Per questo non bastano semplici riferimenti a un patrimonio di valori umanitari, non basta neanche riconoscere le radici giudaico-cristiane, che costituiscono buona parte della sua identità e della sua memoria. A cosa serve una radice se la linfa non può salire e rendere verdeggianti i rami dell’albero? Le Chiese sono chiamate a uno slancio ambizioso ma non utopico, per un servizio alto che non si può ridurre a semplici mezzi di moralizzazione della società.
Con un battito d’ali sull’Europa, vedo ancora l’esistenza di un grosso blocco di Paesi fuori dall’Unione: i Balcani, in nome di una nuova balcanizzazione dopo il crollo dell’ex-Jugoslavia. Molti scalpitano sulla lista d’attesa, ma come non posare lo sguardo sulla Macedonia, un Paese senza nome e senza bandiera, allontanato dall’Unione europea e dall’Onu a causa del conflitto con la Grecia? Quanti ricordi dolorosi conservo di tutti questi Paesi visitati a più riprese nel pieno della guerra, da Sarajevo a Srebrenica, l’enclave musulmano della Serbia, che conobbe nel luglio 1995 il più grande massacro etnico d’Europa dopo il 1945.
L’Europa può essere esasperante a causa della deriva tecnocratica delle sue istituzioni, troppo lontane dalla vita quotidiana dei suoi cittadini. Manca una pedagogia dell’Europa sul territorio, e lo sforzo richiesto sarà accettato solamente se considerato giusto e utile. Mentre finora l’Europa si è fatta per se stessa, attorno a un messaggio di pace, essa deve ora costruirsi per il pianeta.
L’avvenire dell’Europa è il largo! Con, all’orizzonte, secondo un’espressione forgiata da Jacques Delors, una federazione di Stati-nazioni?
Giovedì 20 giugno 2013