PREMIO FALLANI
QUALE ANIMA PER L’EUROPA?

“Ogni volta in cui i rappresentanti delle Chiese e delle religioni si interessano al progetto dell’Unione europea, riappare inevitabilmente l’espressione “anima per l’Europa” e si ribadisce la necessità di “dare un’anima all’Europa”. Così esordisce Michael Kuhn (segretariato Comece, Commissione episcopati comunità europea) in un recente contributo su EuropeInfos, il mensile della stessa Comece, volto a chiarire un malinteso per cui dietro questa metafora si nasconde da parte delle religioni la rivendicazione di avere nell’Ue il ruolo di “creatori di supplemento d’anima”.
 
 
 
La genesi dell’espressione.
Dopo gli anni di «eurosclerosi», tra il 1975 e il 1985, a cui fecero seguito gli anni di «turbolenti eventi storici», nel 1989-1991, il presidente della Commissione Ue Jacques Delors era consapevole che “il processo d’integrazione europea rischiava di evaporare”. Se il trattato di Maastricht e la nascita del mercato unico avevano segnato il passaggio dalla comunità all’Unione europea, coloro che avrebbero dovuto reggere il processo tecnico dell’integrazione, vale a dire i cittadini, non si entusiasmavano più e “percepivano il processo di integrazione come strumento tecnocratico del mercato, un progetto disincarnato di una élite politica e intellettuale che evidentemente non rispettava le promesse fatte”. Occorreva perciò, secondo Delors, un “obiettivo chiaramente definito” che entusiasmasse i cittadini. In questo contesto Delors formulò il suo concetto di “anima”, inteso come “un progetto e non una grandezza ontologicamente definita in un linguaggio religioso”. Lo testimonia ad esempio un intervento del presidente nel 1992 alla Conferenza delle Chiese europee (Kek), in cui emerge il senso di anima come “dibattito intellettuale e spirituale sugli obiettivi e il significato dell’integrazione europea, che non devono escludere nessuno né essere dominati da nessuno”. Anima quindi come processo pubblico più ampio”.
 
 
Due malintesi.
“La metafora di Delors – una volta assunta dai teologi – ha cambiato il suo significato”, spiega Kuhn: il dibattito sul significato e gli obiettivi dell’Europa si è trasformato in un “dibattito sull’anima in quanto grandezza ontologica” e sulla definizione di quest’anima.
Se il discorso politico-filosofico romantico ottocentesco sullo stato-nazione considerava inseparabili le dimensioni politiche, culturali e religiose, la “ri-mitizzazione” del discorso politico che avviene oggi è invece “sintomo di una delle difficoltà fondamentali dell’Europa: la paura di una discussione democratica pubblica circa l’Ue, i suoi obiettivi, e la strada per raggiungerli”.
In secondo luogo, il processo di «dare un’anima all’Europa» è vittima di un altro malinteso nella misura in cui viene ridotto a un dibattito sui valori cristiani e a una “lotta per fermare la decadenza della cultura cristiana europea”.
 
Osare la pluralità
Uno dei pericoli principali nella discussione sull’anima dell’Europa sta nella tentazione di rivendicare “un’anima in esclusiva per il proprio gruppo”, tentazione che è delle Chiese, ma anche della “laicità fondamentalista” che esclude Chiese e religioni dal discorso pubblico, per una pretesa neutralità, finendo per escludere tutti, eccetto se stessa. L’anima dell’Europa è invece “alimentata da diverse fonti e ciascuna di esse dà un contributo originale, unico”. Conclude Kuhn: “Questo processo di riconoscimento del prezioso contributo dei diversi gruppi e individui – religiosi o laici – verso un obiettivo comune, e la discussione sull’obiettivo stesso, è esattamente ciò che – a mio parere – Jacques Delors voleva dire con il suo discorso sull’anima per l’Europa”.
 
Sarah Numico
 
(Su www.fisc.it le precedenti note e le informazioni s…

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