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«I giornali, le televisioni, il web sono piazze», dice il presidente della Federazione italiana dei settimanali cattolici. «La Chiesa faccia sentire la propria voce»
 
ll Papa parla di un incontro fecondo, ma coniugare misericordia e carità con giornali e tv, radio e internet, non è così immediato. Nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali Francesco scrive che «l’amore, per sua natura, è comunicazione, conduce ad aprirsi e a non isolarsi. La comunicazione ha il potere di creare ponti, di favorire l’incontro e l’inclusione, arricchendo così la società. Comunicare significa condividere, e la condivisione richiede l’ascolto, l’accoglienza». Su questo e su altro si concentra il Festival nazionale della comunicazione in corso ad Arezzo, promosso dalla Famiglia paolina in collaborazione con la diocesi aretina. Tra i protagonisti delle numerose iniziative, anche il presidente della Federazione italiana dei settimanali cattolici,  Francesco Zanotti, che parte da un concetto preso a prestito proprio dal Papa, dalla Laudato si’: «Tutto è connesso. Tutto è collegato».
Presidente Zanotti, perché partire da questa frase? Cosa c’entrano carità e misericordia con i giornali diocesani?
«Perché la carità tipica che viene in mente a tutti è quella, non dico spicciola, ma che si fa di fronte all’emergenza, verso gli ultimi. E la misericordia è quella che avvicina i cosiddetti lontani, perché noi abbiamo sempre in mente questi stereotipi: i vicini e i lontani. Allora la misericordia è per i lontani. Ma c’è da chiedersi: chi sono oggi gli ultimi, i lontani, chi sono i poveri, gli abbandonati, gli immigrati, i profughi?».
 
Mi sembra di capire che non bisogna andare troppo lontano: basta guardarsi intorno per comprendere dove c’è bisogno di misericordia e di carità. Allora, che fare?
«La Porta santa della misericordia si apre per tutti. E questo si collega al ruolo dei giornali cattolici. Chi riesce a portare una parola di speranza, a risvegliare una nostalgia sopita? Chi è capace di richiamare l’attenzione al bello, al bene, al vero, come chiese il Papa ai giornalisti nel primo incontro del 16 marzo 2013. “Usciamo, usciamo”, dice ancora il Papa. Non stiamo in casa. Usciamo e siamo “santamente inquieti”, come suggeriva don Oreste Benzi, che nemmeno dormiva nel suo letto. Era talmente preso dalla consapevolezza di dover donare quello che aveva ricevuto che non poteva perdere tempo a dormire».
 
«Uscire» ed essere «santamente inquieti» sono concetti affascinanti, ma come si possono tradurre nel fare comunicazione?
«I giornali, le televisioni, le radio, il web sono piazze. Lo ricorda anche il Papa. Sono piazze cartacee, digitali… Piazze dove la gente si incontra, dove si dialoga, dove ci si confronta. Noi dobbiamo starci in queste piazze. Ci dobbiamo consumare le scarpe. Dobbiamo favorire il confronto. Non dobbiamo avere paura del dialogo, non dobbiamo essere autoreferenziali. Mai dare risposte definitive. Al contrario dobbiamo favorire e suscitare domande, porre interrogativi, aprire dibattiti, costruire processi, introdurre questioni… Un giornale che non dialoga è un giornale morto. Dal dialogo dobbiamo uscire cambiati, cresciuti. Questo è il vero dialogo. E poi ci vuole anche lo stile. Il Papa richiama la mitezza, il rispetto perché le parole sono come pietre, anzi: spesso sono peggio delle pietre perché le pietre possono anche spezzarsi, ma le parole restano per sempre».
 
Di recente come Federazione dei settimanali cattolici vi siete riuniti a Cesena allo scopo di dare nuovo slancio alle testate diocesane in un momento di forte contrazione dell’editoria in generale. Avete individuato non dico una ricetta ma almeno qualche indicazione concreta per reagire alla crisi?
«Ci siamo ritrovati a…

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