Pesarese di nascita ma nigeriana per scelta

PESARO – Suor Maria Francesca Federici, pesarese di nascita, ma nigeriana per scelta, clarissa, si è trasferita dal monastero di S. Chiara di Cortona a Ijebu-Ode (Nigeria) nel 1995, dove è stata, fino ad oggi, la responsabile della comunità. In questi giorni è rientrata a Pesaro per un breve periodo.
Suor Francesca come è nata la sua vocazione?
Parliamo di quarant’anni fa, sono in monastero da 44 anni, essendo entrata a 24 anni, dopo essermi laureata in Lettere antiche. Ho due vocazioni nella vita: il mio primo desiderio è stato quello di dedicarmi completamente al Signore e alla vita contemplativa e claustrale. In monastero, però, quando ero ancora postulante, è venuto un frate minore da un paese africano, credo che fosse osservatore dopo il Concilio Vaticano II: In parlatoio lui chiedeva sempre se c’era qualche sorella disposta ad andare nel suo paese per fondare un monastero di vita contemplativa, cosa che a me piaceva, ma mi dicevo “Sta zitta, sei appena entrata in un monastero di vita contemplativa!”.
Quando si è profilata la possibilità di andare in Nigeria?
Anche se avevo questo sogno, ho sperimentato che i tempi nostri non sono quelli del Signore. Sono stata 25 anni in Italia con questo desiderio. Più volte ho chiesto ai miei direttori spirituali di poter accettare l’offerta di monasteri che stavano chiudendo e loro mi dicevano che non era il tempo di Dio, finché non sono state mandate quattro sorelle nigeriane a formarsi in Italia per poi fondare un monastero di suore clarisse in Nigeria. Di quattro ne sono rimaste due e io sono stata la loro “maestra delle Novizie”. Mi sono affezionata a loro, ma mi sembrava un sogno andare in Nigeria. Queste due sorelle hanno fatto la professione solenne a Siena con una S. Messa concelebrata da più di 100 sacerdoti, la maggior parte nigeriani, e da quel momento sono cominciate ad arrivare lettere d’invito da alcuni vescovi nigeriani.
Siamo andate a parlare con il cardinale nigeriano in Italia, F. Arinze, il quale ci ha detto che la Diocesi da noi scelta andava bene per le clarisse, dato che era la più povera del paese! Egli pose però delle condizioni: il vescovo doveva venire di persona, esporre quello che aveva intenzione di far fare alle clarisse. Offrire un alloggio e consultare i sacerdoti disposti a fare il servizio liturgico.
Come è stato l’inizio in questa nuova realtà?
Il fatto di essere l’unica bianca non è stato motivo di pressione per le mie consorelle e fin da subito ci sono state giovani che chiedevano di stare per un po’ di giorni o qualche settimana e già dopo il primo anno abbiamo avuto le prime tre candidate ad entrare in convento, cosa straordinaria, paragonata a moltissime altre Fondazioni in cui si è aspettato molto di più. La nostra Comunità si è arricchita fin da subito e già nei primi mesi si sentiva uno spirito di fratellanza. Anche per la liturgia queste giovani piene di entusiasmo sono state fondamentali perché insegnavano a noi sorelle i canti in inglese.
Che cosa fate per la popolazione della Diocesi?
Siamo un monastero di vita contemplativa, che ha otto postazioni per ospitare, ma dato che in Africa si dorme anche in otto nella stessa stanza, ci sono anche gruppi di trenta persone che ci chiedono di fare ritiri, come anche numerosi religiosi e religiose.
Inoltre ogni giorno vengono decine di persone, tanto che alcune per noi ormai sono figlie, come una ragazza madre epilettica, una signora con problemi mentali, o una con l’aids, a cui paghiamo le medicine per curarsi. Purtroppo ci sono sempre molti rifugiati dal Camerun, dalla Liberia, dal Congo, perché è stato chiuso un campo di rifugiati, e queste persone hanno bisogno di un aiuto: i soldi vengono dati solo nelle emergenze, ma i sacchi di riso finiscono molto …

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