Nicola il rumeno di Lecce cerca una casa, il lavoro e un futuro per suo figlio

”Ciao! Ti ho cercato alle 9,00 ma non c’eri. Aiutami, per favore”. Con queste parole Nicola si presenta in redazione. Da queste prime parole si comprende l’angoscia che lo pervade e la speranza di trovare un aiuto. Mentre mi appresto a registrare, lui guarda ed esclama “tu credi davvero che mediante quest’intervista qualcuno mi aiuterà?”, “credo di si” gli rispondo. Lui mi guarda e sorride. Ha compreso quanta poca convinzione c’era nelle mie parole.
Dice di essere “sposato e padre di un ragazzo di quattordici anni e una ragazza di ventotto anni che ora si è sposata e vive in Romania”. Con loro è giunto in Italia nel 2001 in quanto, racconta, i suoi genitori han venduto la casa dove abitavano tutti insieme mediante la formula di “nuda proprietà”.
“Così siamo giunti a Roma e nell’impossibilità di cercare un alloggio ci siamo rifugiati in un campo rom, abitato da tremiladuecento persone, in cui le condizioni igienico – sanitarie erano molto scarse”. Appena giunti, Nicola, la moglie e i figli erano smarriti; infatti è lui che dice che nessuno sapeva dove andare e cosa fare. “Abbandonati dalle istituzioni, per tentare di allontanarci dal campo rom in cui era pericoloso vivere, abbiamo iniziato a chiedere l’elemosina”. Ben presto però la povertà ha fatto cadere Nicola e la sua famiglia nella disperazione e nell’illegalità. Per poter sfamare se stessa e la sua famiglia sua moglie ha cominciato a rubare nei supermercati di Roma. Ciò ha provocato inconvenienti con la giustizia che hanno raggiunto il culmine dopo qualche anno quando sua moglie è stata arrestata e condannata a dodici anni e quattro mesi di reclusione nel carcere di Rebibbia a Roma.
Ed è lei che dal carcere tenta di sostenere economicamente il figlio ed il marito “Mia moglie lavora in carcere da cinque anni e grazie al suo piccolo stipendio che riesce talvolta ad ottenere, noi possiamo cercare di sopravvivere”.
Un’accorata richiesta d’aiuto è stata rivolta da Nicola alle istituzioni le quali non hanno ascoltato il suo grido. In particolare, egli si è rivolto anche ai servizi sociali i cui funzionari gli hanno detto che per potergli assegnare la residenza bisogna che lui trovi lavoro e per questo è stato mandato al Comune di Lecce. “Mi sono rivolto al Sindaco con il quale ho avuto diversi colloqui che non hanno prodotto alcunché. Solo promesse. Mi ha suggerito di effettuare una richiesta per alloggio urgente, la cosiddetta casa parcheggio”; ad oggi però quest’ alloggio non gli è stato assegnato. Grande disponibilità e accoglienza è stata dimostrata invece dalla Caritas diocesana del cui servizio mensa ha beneficiato nella parrocchia “S. Maria delle Grazie in S. Rosa”. Un servizio di cui ora non può più beneficiare in quanto non ha i soldi per pagare il biglietto andata – ritorno del bus che copre la linea Caprarica – Lecce.
Purtroppo non può essere ospitato nella Casa della Carità, diretta da don Attilio Mesagne il quale conferma questa versione, in quanto la presenza con lui di suo figlio nella struttura deve essere autorizzata dal Tribunale; assenso che però non giunge in quanto il tribunale richiede a Nicola la residenza.
“Da padre non posso permettere che io sia aiutato mentre mio figlio resti senza aiuto”.
Notevole sostegno gli viene garantito dalle monache benedettine del Monastero “S. Giovanni Evangelista” in Lecce. Quest’ultime gli hanno offerto un lavoro come badante che per poco tempo gli ha garantito un sostegno economico. Poco tempo dopo però, a suo dire, Nicola è stato licenziato per futili motivi.
Per qualche mese, lui e suo figlio hanno vissuto presso un alloggio procuratogli da un ragazzo della Comunità Emmanuel. Dopo qualche mese però l’abitazione è stata venduta dalla proprietaria.
Attualmente la scarsa somma di denaro che riceve dalla moglie, che intanto è stata trasferita al carcere d…

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