NELLA TERRA CHE E’ SANTA

Lunedì 16 novembre
Il viaggio in Terra Santa parte da qui. Al gate per il volo diretto a Tel Aviv ci sono gli ebrei ortodossi, con tallit e filatteri indossati per la preghiera. Col loro movimento corporeo cadenzano la salmodìa, chiusi nel loro spazio sacro. E ti chiedi quali sentimenti provino e quale fede sperimentino al punto da compiere questo rito di vestizione, in un affollato aeroporto, quasi gelosi degli sguardi degli astanti che inevitabilmente incrociano il loro. Poi arrivano una decina di Francescani che si preparano all’imbarco verso la terra di Gesù, che è la terra di Abramo ed anche quella di Maometto. Non mancano infatti viaggiatori musulmani. C’è una famiglia interetnica, lui occidentale, lei di colore e altrettanto i figli… tutti diretti alla patria comune. Alle origini della propria fede e della propria storia religiosa. Peccato che ciascuno ci vada per conto proprio. Indifferente degli altri.
Si parte, sorvolando l’Italia, l’Adriatico, il mare nostrum… e volano anche i pensieri verso gli affetti che lasciamo, ignari di quelli che incontreremo. Intanto dall’oblò le nuvole macchiano l’azzurro.
Arrivederci Italia!
All’arrivo a Tel Aviv ci accoglie il diacono cristiano maronita Sobhy Makhoul, israeliano, direttore del Christian Media Center, l’ente che gestisce l’informazione da parte delle comunità cristiane che hanno saputo raccordarsi in diversi aspetti della difficile coesistenza in Terra Santa. Parla sei lingue, perfettamente anche l’italiano avendo studiato filosofia e teologia per dieci anni a Roma. Persona gentile, competente e più che disponibile. Nel viaggio in pullman verso Gerusalemme ci traccia un quadro completo della Terra Santa dal punto di vista geografico, storico e religioso. Ebrei e musulmani si diversificano tra le fasce più ortodosse e quanti abbandonano la fede, in mezzo una fascia di moderati. I cristiani sono minoranza, 1,5-2% della popolazione, distinti in 13 confessioni con rispettivi vescovi che hanno giurisdizione sulle persone e non sui territori. Se le confessioni cristiane hanno saputo dialogare, costituendosi in consiglio ecumenico, sono invece destinati a naufragare tutti gli sforzi di dialogo con le altre fedi. Ma non c’è da arrendersi.
É quanto sostiene anche il patriarca latino di Gerusalemme Mons.Fouad Twal che abbiamo incontrato nella sua casa a Gerusalemme. Molto affabile e navigato nel suo ruolo, ormai alla conclusione dell’incarico, per raggiunti limiti di età. Ci racconta come sia possibile essere cristiani qui, con le tante difficoltà da affrontare. Ma anche dell’oblio in cui cade la situazione della Terra Santa dal momento che i media e la politica hanno spostato l’attenzione verso la Siria e l’Iraq. Solo l’ultima intifada dei coltelli o gli episodi di violenza più eclatanti riaccendono per un po’ i riflettori. «Si discute molto, a partire dalla Nostra Aetate, – sostiene Twal – si è avviato un consiglio di autorità tra le varie religioni presenti, discutendo i contenuti dei diversi catechismi nell’educazione dei più giovani, ma tutto sembra naufragare perché subentra la paura; e la politica in questo processo non accompagna». Il Patriarcato è molto presente con ospedali e scuole, alcune delle quali usufruiscono del sostegno italiano dell’8xMille: 100 istituti scolastici per 75 mila ragazzi, soprattutto non cristiani, ospedali cattolici gremiti da pazienti non cattolici, 13 associazioni di carità, avvocati che offrono prestazioni gratuite… ma i cristiani sono perseguitati e non hanno vita facile. Sono umiliati, nonostante l’impegno che mettono nella direzione della pace. Si fanno più pesanti le parole dell’arcivescovo quando allude al maledetto problema del commercio delle armi in cui anche l’Italia ha la sua parte. Sempre grazie all’8xmille italiano sono stati avviati progetti di artigianato per ragazzi e ragazze, per dare loro una preparazione lavorativa; per evitare la fug…

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