Nella chiamata di Dio ho trovato tutto quello che cercavo

Il 13 marzo Padre Alberto Fazzini, domenicano, ha celebrato il 50mo anniversario del suo sacerdozio. L’abbiamo incontrato e ci ha raccontato di questo evento e della sua vita. “Questa occasione costringe a guardarsi avanti e indietro. Più indietro che avanti, a dire il vero.”
Perché?
Io sono convinto che bisogna sempre guardare avanti, perché quello che ci resta è il futuro e non il passato. Però, chiaramente, data l’età e la circostanza, bisogna fermarsi e considerare quello che è successo.
Partiamo dal principio. Com’è nata la sua vocazione?
La mia vocazione è nata a Samatzai. Un prete –il mio parroco- mi aveva mandato in seminario, senza neppure dirmi che era un seminario. Avevo dodici anni. Mi sono ritrovato qui (nel convento di San Domenico in Cagliari, ndr), senza sapere neppure che esistessero i domenicani e che cosa facessero. Poi, quando mi sono accorto che questo era un seminario, me ne volevo andare. Il mio superiore di allora mi consigliò di finire l’anno, per non perderlo, così rimasi qui. Nell’estate tornai a casa e non trovai più i miei amici: tutti lavoravano nelle aie, avevano impegni, e io mi annoiavo da morire. Così, appena possibile, sono tornato in convento. Il fatto di non avere la chiarezza fin da subito mi ha accompagnato durante tutto il periodo della formazione. Poi, per fortuna, ho trovato dei formatori molto capaci e comprensivi. Dopo che ho preso i voti perpetui non ho avuto più dubbi. Mi sarebbe piaciuto andare in missione; mi ha sempre affascinato quest’idea. Invece mi sono trovato a fare un’altra missione che poi è risultata comunque affascinante.
Qual è la sua missione?
Noi abbiamo come compito principale la predicazione. Questo mi ha portato in mezzo al popolo, dappertutto. In missione sono andato durante le mie vacanze. Le organizzavo sempre in modo da poter fare qualcosa insieme ai miei confratelli in terra di missione. Questo anche tuttora.
Tuttora?
Eh sì, tuttora. Un confratello in Guatemala ha necessità di essere sostituito e mi ha chiesto di andare per Pasqua. E così tra qualche giorno, appena dopo i festeggiamenti, partirò. Bisogna sempre guardare al futuro, no? Io ho sempre avuto modo di dedicare dei ritagli a questa mia aspirazione e ogni volta mi sono portato dietro delle persone. Per cui si è creato, attorno a me, un clima missionario. Abbiamo una Onlus che si chiama “Passi per il mondo”. Ci sono tante persone che sono contente di lavorare per questo; così ci ritroviamo sapendo che il nostro incontrarci non facilita solo l’amicizia ma anche diventa un punto di riferimento per le persone più bisognose. Abbiamo costruito anche una casa in Guatemala in modo da poter ospitare le persone che desiderano fare esperienza di missione. Sono belle e dignitose ma molto spartane: noi non vogliamo fare un vita diversa da quella della gente del posto.
Quali sono stati i suoi impegni di ministero in questi cinquanta anni?
All’inizio mi è stato affidata la guida del seminario minore, io che venivo da questa esperienza molto traumatica. Quello che ho proposto è stato di mandare i ragazzi alla scuola pubblica, in modo che fossero più liberi nelle loro scelte. Con tutti i problemi che questo ha comportato. Era un’innovazione ed erano i periodi peggiori della contestazione religiosa. Dopo di questo incarico avevo i ragazzi del seminario minore. Soffrivano un po’ il fatto di essere sempre chiusi in convento, così avevamo acquistato un terreno a Selargius dove, tutti i giorni, dopo il pranzo, andavo lì con i ragazzi. C’era un bel campo da calcio e uno spazio arioso per studiare. La sera tornavamo in convento. Poi la Scuola Apostolica ( il seminario minore) è stata chiusa e questo spazio di Selargius ha preso consistenza, diventando un punto di riferimento per parrocchie e…

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