Nato sotto una buona stella

Rezai aveva solo dodici anni quando decise di lanciarsi in una sfida inconsueta per un ragazzino della sua età: più di una persona gli prospettò il pericolo e i sacrifici cui sarebbe andato incontro, ma la sua determinazione, unita ad un pizzico di sana incoscienza, fu tale da spingerlo a sognare e pretendere una vita libera, lontano dal suo paese.
Mostra con orgoglio un portafoglio in pelle, non per quello che contiene, ma perchè quel manufatto, ben rifinito sui bordi, con delle lettere impresse, è opera sua. Aveva sei anni quando fu mandato a Teheran a lavorare in una fabbrica di borse e zaini, e lì imparò…
L’orgoglio di adesso è il dolore e il pianto di quegli anni.
Partiamo da qui.
Rezai è nato il 24 dicembre 1992, un giorno dell’anno caro alla tradizione cristiana; la promessa tanto attesa sta per compiersi. È una vigilia di trepidazione del cuore, di preparativi per la festa, di fermento buono. Gli occhi dell’anima sono puntati verso l’alto alla ricerca di quell’annuncio “è nato per noi il Salvatore”, alla ricerca di quella stella che ci conduce alla grotta, luogo simbolo del nostro primo incontro con il Signore, povero tra i poveri.
E se fosse così anche per lui? Nato sotto la buona stella… Oggi potrebbe esserne convinto, ma non fino a qualche anno fa, quando la sua vita ha conosciuto la guerra, la morte, il dolore, la solitudine, la schiavitù, l’umiliazione.
Rezai viene dall’Afghanistan, dalla terra martoriata dalla follia talebana. La sua etnia (“di quelli con gli occhi a mandorla…”) è Hazara, una minoranza rispetto ai Pashtun, le cui imprese violente e bellicose, sono diventate per noi europei un quotidiano ricordo di sangue e morte per la contesa di territori e per supremazie di religione.
Tra il 1995 e il 1996 le tensioni tra i gruppi stanno raggiungendo vertici spaventosi; in tanti decidono di fuggire e tra questi anche la famiglia di Rezai: padre, madre e quattro figli, con un gruppo di parenti e altri amici puntano verso l’Iran. Un posto di blocco si rivelerà fatale per tutti, ma non per il piccolo Rezai, nato sotto la buona stella…
«I talebani ci fermarono… In quei casi è difficile uscirne vivi perché il loro obiettivo è privare il nemico di ogni possibilità di scampo. Nella concitazione del momento un amico di mio padre riuscì ad afferrarmi e portarmi via; mentre di tutti gli altri non ho saputo più nulla. Non è difficile intuire cosa sia potuto accadere».
Da questo momento, Rezai, figlio di quella buona stella o della fortuna, o protetto da Allah, si lancia nell’avventura che gli cambierà la vita, per sempre, ma non spegnendo il suo grande sogno: la ricerca della felicità e della pace.
Bombardamenti, colpi d’artiglieria, esecuzioni capitali, torture: ne ha viste tante nel suo paese. È ancora bambino quando sogna di diventare – da grande – un pilota di cacciabombardieri «perché, se schierati dalla parte dei “bravi” possono portare la pace».
La sua prima fuga è destinata ad arrestarsi in Iran dove Rezai per alcuni mesi rimane con l’amico del suo papà in attesa di rintracciare gli zii. Non è difficile mettersi in contatto con…

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