LIBERTÀ, LAVORO E DIGNITÀ, NON MURI

L’impegno della Chiesa per il dialogo e l’integrazione, la sconfitta della politica
 
Dà l’impressione di essere un uomo stanco, quasi rassegnato all’impotenza davanti a una situazione che pare non avere vie d’uscita eppure fino all’ultimo fa di tutto per rompere il silenzio che si è creato intorno alla Terra Santa, specie dopo l’ultima serie di attentati che è arrivata al cuore dell’Europa. Il Patriarca di Gerusalemme Fouad Twal accoglie la delegazione dei giornalisti della Fisc (Federazione italiana stampa cattolica) in una grande sala, viene offerta una bibita, dolci e caffè com’è usanza. Sorride, vuol conoscere tutti uno a uno, poi – prima ancora che qualcuno possa rivolgergli delle domande – comincia a parlare: «L’attenzione di tutti si è trasferita in Siria, in Iraq, sull’Europa, ma qui la situazione è peggiorata e nessuno ne parla per questo ci appoggiamo alla stampa cattolica, gli altri media non dicono o non osano dire quello che noi diciamo. Ora il mondo è cosciente ma ho paura che fra tre o quattro mesi torni tutto come prima». Il vero nodo, in Medio Oriente, resta il conflitto Israelo-palestinese che va avanti da sessant’anni e con esso la sorte di Gerusalemme: «Nei negoziati – dice il Patriarca – hanno sempre rimandato la questione di Gerusalemme ma questa è la chiave per più pace o più violenza. Abbiamo alle spalle trent’anni di dialogo senza nessun gesto concreto. Il dialogo non ha scopo in se stesso, deve arrivare a qualcosa, il popolo vuole concretezza. Siamo umiliati – confessa – la gente è frustrata, vuole vedere più libertà, più lavoro e dignità, meno muri. Se pensiamo al Natale vicino, all’Anno della misericordia, è tempo di distruggere prima di tutto i muri che stanno nel cuore dell’uomo, odio, ignoranza, indifferenza, insensibilità, disprezzo, e che hanno portato alla costruzione dei muri che stanno fuori» – dice riferendosi evidentemente a quelli innalzati da Israele ufficialmente a scopo difensivo ma che hanno finito per isolare le popolazioni palestinesi come a Gaza e Betlemme. «Negli incontri è mancato l’aspetto umano, non si mette nel bilancio la gente innocente, mamme, donne, ragazzi, bambini che  non hanno niente a che fare con la guerra ma non sono nell’agenda delle discussioni. Noi pastori della Chiesa non possiamo non pensare a loro». Da sempre il patriarcato latino condivide in particolare le sofferenze del popolo palestinese, monsignor Twal ribadisce: «Per me lo Stato palestinese è nato, anche se il presidente per uscire da Ramallah ha bisogno del permesso di Israele». Il dialogo da più parti invocato riguarda anche le religioni, da alcuni anni è attivo un Consiglio delle istituzioni religiose di cui fanno parte ebrei, cristiani e musulmani, «ma se la politica non ci aiuta e accompagna – sottolinea monsignor Twal – le belle intenzioni restano tali». La Chiesa da parte sua crede molto nell’educazione che porta all’integrazione: «Abbiamo un centinaio di scuole cristiane con 75 mila studenti di tutte le religioni, se studiano, mangiano, giocano insieme, se i loro genitori si incontrano, prepariamo la strada per più amicizia e più coesistenza». «Non c’è altra Chiesa nel mondo – afferma con fierezza Twal – che si adopera per la sua gente come il patriarcato latino: abbiamo 11 ospedali anche se siamo appena il 2% della popolazione, segno dell’apertura all’altro. A Gerusalemme operano 13 organizzazioni cattoliche fra cui la Caritas e la Società Saint Ive, che offre assistenza legale gratuita». Il problema più grande, per i cristiani, è quello della casa: «Sono già stati realizzati 16 progetti in questi anni, senza questo le famiglie sarebbero già emigrate, non possono infatti comprare né costruire, né avere il permesso per farlo». Ai cristiani che sono fuori e che ultimamente, per paura, tendono a limitare i pellegrinaggi nella Terra di Gesù il Patriarca sente di fare un appello: «Gli amici dimostrano l’amicizia nei momenti difficili – dice….

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