L’APPELLO DEL PAPA
“Mai più la guerra!”

C’è preoccupazione, angoscia nelle parole di Papa Francesco all’Angelus. Non commenta le letture del giorno, il pranzo con uno dei capi dei farisei e la parabola degli invitati che scelgono i primi posti anche se nel Regno di Dio non ci sono primi, né secondi o terzi posti, non ci sono desideri di grandezza e volontà di primeggiare sugli altri. Tutti sono chiamati a mettersi al loro posto, che in qualche modo è sempre l’ultimo.

 
Si fa interprete, Francesco, del grido “che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace”. Un grido per dire: “Vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra. La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato”. Grido, ancora, che guarda alla Siria e che auspica la pace nella regione.
È un grido, la pace, che tutti i Papi hanno raccolto, a cominciare da Benedetto XV che, eletto poche settimane dopo l’inizio della grande guerra, scrive la prima enciclica sulla pace “Pacem Dei munus”, e bolla il conflitto mondiale, nella nota del primo agosto 1917, come inutile strage, definendo la guerra il “suicidio dell’Europa civile”. Pio XII, da nunzio a Berlino, ha visto crescere il potere politico e militare di Hitler. Dirà ai profughi e rifugiati, il 12 marzo 1944, che le sue parole “per scongiurare il flagello della guerra” sono rimaste inascoltate: “Non vi fu sforzo che non facessimo, né premura che tralasciassimo, perché le popolazioni non incorressero negli orrori della deportazione e dell’esilio”. Giovanni XXIII alla pace dedica un’enciclica che risente del clima della guerra fredda e del braccio di ferro tra Unione Sovietica e Stati Uniti per i missili a Cuba: “Giustizia, saggezza ed umanità – scrive nella ‘Pacem in terris’ – domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci”.
Paolo VI è il primo Papa che parla al Palazzo di Vetro dell’Onu e grida il suo “mai più la guerra”. Si fa interprete “dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle”.
Giovanni Paolo II, anche lui sarà alle Nazioni Unite rinnovando il grido di Papa Montini. Ma a Berlino – attraverserà la Porta di Brandeburgo, la porta della libertà, la chiamerà – parlerà ai berlinesi e al mondo, dopo la fine dei regimi, per dire: “La libertà non è un lasciapassare. Chi trasforma la libertà in un lasciapassare le ha già inferto un colpo mortale. L’uomo libero è tenuto alla verità, altrimenti la sua libertà non è più concreta di un bel sogno, che si dissolve al risveglio”. Più volte Benedetto XVI ha chiesto la fine dei conflitti, e il ritorno alla pace soprattutto in Medio Oriente, non ultimo il viaggio a Beirut.
Oggi è Francesco che guarda, ancora una volta, al Medio Oriente, alla Siria. Il suo “mai più la guerra” parla di sofferenza, devastazione, dolore che “ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme. Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro”. Condanna “con particolare fermezza l’uso delle armi chimiche”. E dice: “C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire. Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza”. Così chiede d’intraprendere la strada del negoziato: “Non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è …

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