La malattia mi ha costretto a vedere le cose con uno sguardo nuovo

Fare della fotografia la propria vita significa servirsi di questo meraviglioso strumento per raccontare i momenti belli. E quelli brutti, come può essere la malattia. Servono coraggio, umiltà, ironia. Anche entusiasmo. Caratteristiche che non mancano a Mauro Fiorese, fotografo veronese dal curriculum internazionale. Autore di libri e di scatti presenti in collezioni pubbliche e private, europee e americane. Curatore di mostre agli Scavi Scaligeri e alla Oooh Art Gallery di Stradone San Fermo. Per vent’anni docente di fotografia all’Accademia di Belle Arti e all’Ateneo scaligero, all’Istituto europeo di design di Milano e all’Università dell’Illinois. Professionista instancabile nel dedicarsi a progetti fotografici.
Il più recente, con la galleria Box Art, è stato presentato ad Arte Fiera Bologna. È Treasure Rooms, serie di scatti realizzati nei più importanti musei italiani per mostrare come i depositi siano stanze segrete ricche di tesori. Musei nei musei protagonisti di grandi foto, racchiuse in cornici dorate, per offrire il privilegio di curiosare tra le opere di Castelvecchio, della Galleria nazionale d’arte moderna di Torino, degli Uffizi di Firenze e della Galleria Borghese di Roma. «Andremo alla Tate Gallery di Londra, al Prado di Madrid e al Moma di San Francisco» anticipa.
Nel frattempo, al computer del suo studio, apre e chiude alcune cartelle di un archivio fotografico di 100mila immagini. È come se spalancasse finestre su altri tesori: esperienze vissute negli Usa, dove nel 1997 è entrato nella Top 100 World Photographers list all’Ernst Haas/Golden Light Award. E su una battaglia che, oggi, lo impegna quotidianamente: quella, faccia a faccia, con un tumore al polmone al quarto stadio. Ha iniziato a scrivere del male che l’ha colpito sei mesi fa sulla piattaforma online di racconti Storehouse: diario virtuale, con testi e foto scattate con l’iPhone, che definisce “terapeutico”. Quando ti spaventi, aggiunge, «vuoi cercare delle opportunità. La malattia mi ha costretto a mettere ordine nella mia vita. A vedere le cose con sguardo nuovo. A pensare di fare testamento a 44 anni…». Il professionista sceglie luce e inquadratura perfette. L’uomo affida i pensieri a capitoli che scivolano veloci nella lettura sullo schermo di uno smartphone. La vita ne esce come dono prezioso, da non sprecare. Anzi, da affrontare con consapevolezza: «Per questo ho chiamato il diario Libra in Cancer. La metafora dell’oroscopo rivela che sono nato sotto il segno della Bilancia, ma il mio ascendente non è il Cancro. Ho un cancro. E voglio decidere del mio destino». In questo percorso a ostacoli, facendo i conti con esperienze mai provate prima – esami, terapie pesanti dalle quali si esce inermi, dialoghi con specialisti, termini medici complessi – il filo rosso rimane la fotografia: il dettaglio di una radiografia o di un macchinario all’ospedale, un selfie con la figlia Leda nel quale i cambiamenti fisici dall’esordio della malattia sono comunque accompagnati da un sorriso. E dalla luce della speranza che gli si intravede negli occhi.
La diagnosi, prosegue, è arrivata come un fulmine a ciel sereno dopo un periodo complicato da un grave incidente in moto avvenuto a maggio 2013. I primi sintomi, gli accertamenti, poi la certezza. La cicatrice rimasta dagli interventi al braccio, mostra in uno scatto, va a coincidere con la linea della vita. Allungandola. Rendendola quasi più profonda. È un segno: «Non ho paura di morire. Mi spaventa più l’idea di lasciare una bambina senza un padre. Per questo voglio darle amore, intensamente, trasmettendole dei valori positivi».
Vedere il corpo cambiare e fissarne l’evoluzione nel particolare di una lacrima o di un’infusione è per certi versi terapeutico, ripete. «La fotografia non dà risposte. Solleva interrogativi e aiuta ad affrontare il quotidiano con curiosità e creatività. Per questo la vita va fotografata. Sebbene la malattia sia il …

Condividi