LA GMG? UN’ESPERIENZA CHE TOGLIE IL FIATO

Le ossa sono rotte per 20 ore in pullman, ma il cuore è traboccante di gratitudine. Appena giunto a casa scrivo queste riflessioni al termine della mia prima Gmg da cronista. Un’esperienza tanto totalizzante da togliere il respiro dopo aver sottratto del tutto il tempo per i pranzi. Sì, perché davanti a ciò che accade in quelle giornate straordinarie e uniche, un adulto e giornalista che ancora sa stupirsi non può permettersi di perdere un solo attimo di quel che fiorisce sotto i suoi occhi. Anzi, non si hanno sguardi curiosi sufficienti per scrutare in ogni direzione, e spesso neppure si sanno trovare parole adeguate per descrivere ciò che si vive.
Prima di tutto sono stato un pellegrino, in questa Gmg. L’ho voluto fare per capire dalla parte dei ragazzi che cosa significa andare in un Paese sconosciuto, ospiti di gente ignota. Ho vissuto sei giorni di gemellaggio a Szlachtowa, una splendida borgata turistica di montagna, al confine con la Repubblica Ceca. Ho sperimentato la gratuità più genuina, il farsi prossimo con chiunque in nome di una fede comune. Mi sono fatto compagno di viaggio dei giovani della mia parrocchia e della mia diocesi, tentando di non essere invadente, ma col desiderio di non perdermi nulla, anche come papà di uno di questi straordinari “papaboy” del 2016.
A Cracovia è iniziata un’altra avventura. Innumerevoli i disagi in una città che per i primi due giorni è andata letteralmente in tilt sotto l’invasione del milione e mezzo di ragazzi da tutto il mondo, festanti, gioiosi, con le loro bandiere, i loro enormi zaini e le loro chitarre. Ho camminato con loro per ore sotto il sole a picco. Ho posto numerose domande. Ho preso appunti, scattato foto, fatto tweet, scritto e inviato pezzi. Mi sono inoltrato in questo fiume ininterrotto di gioventù che mi ha stupito, meravigliato, scosso, insegnato, anche stordito per la lezione di pazienza e di sopportazione, vissute nella letizia, praticata per lunghi giorni. Non ho mai udito una sola lamentela, nonostante trasferimenti lunghissimi, pesanti, spesso assurdi. Ho fermato centinaia di pellegrini. Ho parlato con loro. Ho chiesto racconti. Più che altro ho ascoltato, non solo con le orecchie, ma in particolare con gli occhi e con il cuore. Ho riempito blocchi di appunti. Ho mandato in tilt lo smartphone con migliaia di scatti. Ho macinato chilometri a piedi in compagnia di giovanotti mai visti, di preti mai conosciuti, di suore di cui ignoro il nome, di vescovi pastori in mezzo al loro gregge. Ho conosciuto un popolo straordinario di cui non posso non parlare. Questi ragazzi, con migliaia di loro educatori e sacerdoti, hanno deciso di andare alla Gmg per incontrare il Papa, ma poi li hanno sistemati, divisi da fossati e transenne, a distanza di chilometri. Hanno affrontato fatiche da uomini duri, non certo da giovani-divano come ha ammonito Francesco, ma da camminatori puri, da montanari e tosti. Hanno resistito al caldo, alla polvere, ai temporali. Li ho intervistati fino all’ultimo momento, prima di salire sui pullman per tornare. Li ho abbracciati. Ci siamo fatti selfie. Ci siamo scambiati contatti. E siamo ripartiti diversi, rinnovati, carichi, contenti, lieti, stupiti, felici. L’abbraccio di misericordia ci ha stretti, in un nuovo legame, davvero liberante. Una contraddizione forse per il mondo, non per chi l’ha sperimentato nei giorni di questa incomparabile Gmg 2016.
 
Fonte: www.avvenire.it
(5 agosto 2016, pag . 16)
 
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