IN FAMIGLIA CON PAROLE NUOVE

La mamma. «A scuola dal nostro figlio disabile»
Il giorno in cui ci dissero che Francesco non sarebbe mai diventato un bambino come gli altri, pensammo a un errore, dei medici, delle infermiere, di Dio. Forse Dio, nella sua immensa bontà, si era distratto. Giorno dopo giorno, mio marito e io abbiamo dovuto riconoscere di non essere sempre riusciti a stare vicino a chi cresceva sotto il nostro stesso tetto. E ora sappiamo che i problemi senza soluzione esistono. Ma forse Dio aveva messo in conto anche questo. Federico, fratello di Francesco, a 6 anni ha imparato a prepararsi da mangiare da solo; Mariapaola, sua sorella, a 5 anni, aveva già capito che se Francesco stava male e la mamma era in un’altra stanza, doveva essere lei a prestargli soccorso; e tutti noi, mamma, papà, nonni, zii e cugini, abbiamo scoperto che la nostra vita non sarebbe più nostra, ma sua.
Ricordo il giorno in cui Federico, mentre si lamentava della pasta troppo cotta o troppo cruda venne azzittito dalla domanda di Francesco: perché, secondo voi, nessuno in classe vuole sedersi vicino a me? Non riuscimmo a guardarlo e nemmeno a rispondergli, ma… spero tanto che lo abbia capito: per noi era un privilegio potergli stare accanto. Qualche anno dopo, abbiamo letto le sue parole, pubblicate proprio su Avvenire, in difesa di un mondo più attento ai diritti delle persone con disabilità. Sua sorella gli chiese: perché ti agiti tanto se sai che poi non cambia nulla? La risposta fu immediata: perché è giusto così. Lei lo guardò come si guarda un pazzo, un pazzo di cui andare fieri. Eravamo in ospedale con Francesco, prima di vederlo scomparire in sala operatoria, appena il tempo di sentirlo dire, dopo una delle tante liti tra fratelli: non lo meritate, ma pazienza, se non dovessi tornare, lascio a voi la maglia autografata di Zanetti. E lo abbiamo aspettato tutti insieme con ansia, nonni compresi, il giorno in cui ha voluto festeggiare il suo diciottesimo compleanno in mongolfiera. In mongolfiera, proprio lui: incapace di camminare e di tenere la testa dritta, ma capace di sorvolare il mondo e di sorridere felice. Caro Francesco, questo ho pensato leggendo il messaggio del Papa: se tu non fossi nato, i tuoi fratelli, i tuoi genitori, i tuoi zii e i tuoi nonni, avrebbero passato la vita a cercarti. (Anna Gallone)

Il papà. «La comunicazione è un talento al femminile»
Ormai con Francesco bisogna coniare un nuovo ossimoro: ‘abituarsi alla sorpresa’. E anche nel messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni la sorpresa non si è fatta attendere: quotidiani, periodici, radio, televisione, Internet, socialcosi cinguettanti… Invece di che parla stavolta il Papa? Di famiglia. Leggo tutto d’un fiato, ne esco ammaliato, piacevolmente spiazzato nel considerare come Francesco, associandola alla famiglia, abbia voluto ricondurre la comunicazione al suo punto di origine, quella che è stata elevata dal Concilio al rango di piccola Chiesa domestica. Risalire al senso costitutivo delle cose è un evidente servizio alla verità. Certo, per i «Pppp» ( Padri in Pantofole, Pipa e Poltrona) e altre specie autoctone, questo messaggio è un grado 7 della scala Richter, che scuote le coscienze. È come se fosse stato stampato il manuale 2.0 della comunicazione in famiglia, delle istruzioni che possono tornare a farla volare altissima e velocissima, semplicemente attraverso la cognizione di causa sulla profondità della sua natura. Francesco con l’esempio di Maria ed Elisabetta sottintende che la comunicazione benedetta da Dio è femmina. La lingua, la parola, la preghiera, la lacrima, l’apertura, la condivisione, l’inclusività… dovunque manchi comunicazione c’è una componente femminile che soffre. E allora, cari colleghi maschi, che magari come me a tavola bofonchiate stanchi monosillabi in risposta al tentativo femminile di instaurare un dialogo, facciamocene una ragione: le donne di casa nostra, sul piano della comunic…

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