Il dialogo è possibile

“Io lo posso testimoniare, come quel giorno a una inaugurazione. Pranzo
e preghiera insieme, imam e cardinale, senza alcuna divisione”
 
Durante il racconto si commuove più volte. Don Domenico Altieri, oggi amministratore parrocchiale a Montiano e a Montenovo, ha vissuto trent’anni della sua esistenza in Africa. Lo ha fatto in quanto missionario del Preziosissimo Sangue, ordine religioso che a Cesena ha i sacerdoti al santuario dell’Addolorata, la cosiddetta chiesa dei Servi. Don Altieri è stato dal 1971 al 2001 in Tanzania, nazione indipendente dal Regno Unito dal 1961.
Nel Paese africano don Domenico ha toccato con mano la convivenza pacifica tra cristiani e musulmani. Sono numerosissimi i suoi ricordi di quegli anni contrassegnati dalla ujamaa, una sorta di socialismo agricolo “dal volto umano” aggiunge il sacerdote che, come un fiume in piena, va a scavare nella memoria.
“Nelle nostre scuole – ci tiene a mettere subito in chiaro – venivano bambini e ragazzi di tutte le religioni”. Stando a quanto si legge in Rete, in Tanzania musulmani e cristiani sono attorno al 35 per cento della popolazione. Il resto seguirebbe sette e religioni tradizionali legate al territorio. I rapporti di buon vicinato, quindi, diventano all’ordine del giorno, quasi inevitabilmente. “Ho sempre partecipato alle feste, ai matrimoni e ai funerali degli amici musulmani. E loro erano sempre presenti ai nostri appuntamenti più importanti”.
Anche il presidente Nyerere, nel suo partito, ha tenuto insieme esponenti delle due fedi. Nel suo governo c’era posto per tutti. “Dall’interno del Paese – precisa don Domenico – non si è mai avvertito di vivere in uno stato comunista. La Tanzania non si è mai allineata né con gli Usa né con la Russia. Ma il presidente aveva un carisma grazie al quale sapeva tenere unito lo Stato. Abbiamo sperimentato il dialogo in una nazione che per certi anni poteva essere vista come un esempio”.
 
Quello vissuto e visto da don Domenico è un islam tutto africano. Un modello di collaborazione, in un terreno fertile anche per i missionari in cui oggi le nuove generazioni “non vanno più in moschea”. Ma nei suoi anni, ricorda il missionario, “facevamo tutto assieme, il prete cattolico, il pastore protestante e l’imam. Anche la visita alle carceri: una settimana ciascuno”.
Ma da dove veniva il rispetto reciproco? “Passava – è chiarissimo don Altieri – dal rispetto per la persona. Ricordo la volta in cui all’imam serviva un aiuto per comperare le lamiere ondulate per il tetto. Non ci ho pensato sopra due volte: gliele ho acquistate io. Allo stesso modo si aiutavano gli operai, con una sorta di anticipo sullo stipendio”. Tutti si sentivano solidali e partecipavano delle gioie e dei dolori di ciascuno, dai lutti alle feste di nozze.
“Una volta mi rubarono due coperte – aggiunge don Domenico -. Venne organizzata la riunione di tutta la comunità sotto il grande albero del villaggio. Avete rubato al padre? domandò il capo. Le coperte mi vennero restituite dopo qualche giorno”.
Il sacerdote ricorda anche la volta in cui il presidente Nyerere si recò a Manyani all’inaugurazione di un progetto realizzato dai missionari italiani assieme ai canadesi. Il presidente rimase stupito per i mulini a vento grazie ai quali si poteva dare acqua a diversi villaggi. “Anche in quella occasione c’erano tutti. Si festeggiava insieme e non si guardava certamente alla fede professata”.
Don Altieri chiude con una storia che gli sta molto a cuore. “Un vecchio musulmano – e gli occhi si fanno lucidi ancora una volta – un giorno mi chiamò per dirmi che mi avrebbe regalato il terreno su cui avrei potuto costruire la chiesa. So che tu farai una cosa buona, mi disse, e mi chiese di aiutarlo per il suo funerale. Su quel terreno, a Mbweni, nel 1990-91 costruimmo un dispensario po…

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