Il bambino che pascolava i maiali

La vita l’ha davvero conosciuta, tziu Pissenti. Dall’alto dei suoi 101 anni (è nato a Seulo il 13settembre 1914) guarda al mondo con disincanto e ironia. Sorte amara, la sua, quella di chi rimane orfano a 10 anni dopo aver conosciuto la solitudine e la vita aspra della campagna. Ma sorride della vita con  la lucidità di chi ostinatamente resiste all’assalto della vecchiaia. Ecco il suo racconto.
 
Eravamo benestanti noi. La mia famiglia aveva vacche, pecore, cavalli, maiali e su molenti po sa mola, ma lavoravamo tutti e anche mia mamma andava a cavallo in campagna per  guardare le vacche. Anch’io ho cominciato a lavorare da bambino e già prima che morisse mamma andavo a pascolare i maiali e dormivo in campagna lontano da casa, tornavo di mattina per andare a scuola e dopo pranzo di nuovo in campagna. Dopo morta mamma tornai a pascolare pecore in Su pardu. Una volta mi sentii molto male a causa del freddo; mio padre era preoccupato, e disse a tziu Pudassa quando venne a trovarci: “E si fillu miu non ce ‘dda faidi …?”. Tziu Pudassa scoppiò  a ridere e assicurò mio padre dicendogli che sarei guarito e avrei mangiato tanto pane ancora … Ha avuto ragione.
E poi, avevo poco più di vent’anni, è arrivata la guerra. Brutta cosa la guerra. Dovetti vendere le pecore noi francusu po erbei. La prima volta partii nel 1935, grazie al mio padrino, il podestà Liberau Lai, che voleva farmi fare la carriera militare, quando iniziò la guerra in Africa, ma siccome avevo anche altri due fratelli in guerra, io andavo e tornavo dal mio paese. Fino al 1940, per 4 anni e mezzo, fui richiamato, prima in Sardegna poi in Corsica, perché allora era italiana e Garibaldi (sic!) non voleva cederla. In Corsica eravamo morti di fame. La cosa che mi colpì oltre la nave e il mare, quando ci avvicinavamo alla costa della Corsica nel molo c’era pieno di gente, come sentirono che eravamo italiani andarono via tutti.
Ho incontrato anche gente importante, allora. Il Re e non solo il Re, anche il Principe. Genti mala, cattivi. Non davano niente a noi che avevamo fame e per 15 giorni avevamo solo una pagnottina e una scatoletta. Incontrai anche Mussolini, issu sì ca fudi onu, ci chiese “soldati come state?” noi rispondevamo “bene!”, perché avevamo paura dei superiori … Mentre andava via ordinò di aggiungere ad ogni soldato 50 lire alla deca. Io ero fortunato perché mi avevano messo in cucina e qualcosa riuscivo a mangiarla. Per fortuna la guerra è finita. Ma dopo l’Armistizio io non riuscivo ad arrivare a Seulo, perché nessuno mi dava un passaggio per paura della multa (perché era considerato un disertore, ndr.).
Mi ricordo la prima macchina. Arrivò a Seulo quando passò Vittorio Emanuele III (1929, ndr). Ci fu una grande festa. Ma non aspettavamo il Re per fare le feste, che erano sempre belle anche se la gente era povera; c’era mia mamma che regalava il pane, c’era chi dava formaggio e tutti mangiavano e poi si ballava con la fisarmonica suonata da tziu Efisinu, tziu Cosumineddu  e tziu Ninnicu Loddu. Per sant’Antonio mia mamma con tzia Manuela Marci facevano la ruota di pane bianco tottu pintau, bellissimo. Allora la gente credeva, non come adesso …! E tutti avevano paura de is iscomunigasa, anche se io non avevo tempo di andare in Chiesa ma ho sempre creduto. Io mi ricordo molti papi come papa Giovanni, il papa buono, Paolo VI, ma  il migliore era papa Wojtyla, pensa che ha perdonato chi gli ha sparato. Che coraggio! Questo Papa di adesso lo conosco poco, ma mi sembra bravo. Ho conosciuto anche molti preti. Mi ha battezzato predi Cauli, don Barca mi ha sposato,  e poi mi ricordo di don Tegas, di predi Sissiniu, e quando entrò in seminario un mio coetaneo Ninnicu Puddu la mia matrigna voleva farmi entrare…

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