Francisco, prima l’orfanotrofio e il carcere poi il riscatto: miglior studente dell’anno

Per noi, noi che abitiamo nelle periferie, per me innanzitutto, cosa vuol dire accettare l’invito di papa Francesco a mettersi in viaggio per incontrare la periferia e vivere una parabola del vangelo? Dalla centralità delle periferie al dovere di uscire da noi stessi per aprirsi agli altri, per incontrare il Signore, non giudice ma padre misericordioso, che aspetta il ritorno dei propri figli a braccia aperte. Uscire sulle strade, incontrare la gente , incontrare nelle persone che ti sono date il Signore Gesù.
Cosa vuol dire per me entrare in queste periferie abbandonate dal potere, ossessionate dall’apparire e essere una carezza dell’amore misericordioso di Dio?
Francisco l’ho conosciuto una decina d’anni fa nell’hogar che sarà poi il luogo dove avrà inizio il mio ministero come missionario Fidei Donum.
Orfano di entrambi i genitori morti alcolizzati, povera gente, campesinos, affidato alle cure dei fratelli e sorelle maggiori già occupati nella dura vita del campo a crescere la propria famiglia, ecco che comincia per lui, come per tanti altri bambini boliviani, il giro degli orfanotrofi.
Scappa una, due volte poi finalmente incontra l’orfanotrofio che fa per lui . Capisce che se vuole riuscire a essere qualcuno in questa società boliviana deve studiare. E’ sempre tra i migliori alunni della scuola.
Al mio arrivo all’hogar lo ritrovo già grande, quasi diciottenne e ancora studente liceale. Dovrebbe lasciare l’hogar vista l’età ma se ritornasse al suo villaggio non terminerebbe mai la scuola, tantomeno l’università, via obbligatoria per poter migliorare la propria condizione sociale. E poi è veramente un alunno meritevole e nell’hogar non ha mai dato problemi. Carattere un poco introverso, ma quale adolescente non lo sarebbe, chiuso in un hogar e trattato alla stregua di un bimbo di 7 anni? Tutti i giorni maledettamente uguali. Le stesse facce, gli stessi orari, una serie di movimenti ripetitivi, quasi meccanici. A diciotto anni non si pensa forse anche alle ragazze? Già, il problema dell’affettività in un hogar e in un hogar misto, di ragazze e ragazzi che crescono e crescono senza la carezza di una mamma, senza la presenza e l’abbraccio di un papà… Ma guai abbracciare un ragazzo che ti portano perché tu lo castighi, guai abbracciare un ragazzo o una ragazza perché piange, perché è avvolta maledettamente dalla noia. Guai se per caso l’abbraccio viene captato da una assistente sociale o da una psicologa o da un dipendente a cui stai poco simpatico…
A Francisco che apprende a suonare la chitarra e che manifesta buone qualità come animatore viene data la possibilità, non senza una velata resistenza di qualche collaboratore, di uscire due volte alla settimana per potersi recare dall’altro capo della città per frequentare i salesiani e gli incontri di formazione per animatori.
Uscire, vedere un altro mondo, conoscere altra gente, confrontarsi: quale miglior metodo per riequilibrare una persona ferita? Ma dura poco: le resistenze all’interno dell’hogar sono molte e cominciano le maldicenze, le bugie, si comincia a distruggere la persona, a screditarla… Si cominciano a costruire muri invisibili per impedire a Francisco di uscire.
E anche per me termina il mio primo anno all’hogar: faticoso, duro… Quanti muri e non solo muri da tirar su per difendere l’hogar: non solo per i ragazzi e ragazze che scappano, non solo per difesa contro i ladri, quanti muri da abbattere contro i pregiudizi. Con il nuovo anno arriva un’aiuto da Venezia, così ci dividiamo: io scelgo la via missionaria e pastorale più tradizionale, una parrocchia tra campagna, foresta e pampa.
Una notte squilla il mio telefonino: “Padre c’è la polizia nell’hogar, cercano qualcosa… Si portano via Francisco!” Un’accusa tremenda: avrebbe fatto lo stupido con una delle ragazze dell’hogar, non una ma più volte nel tempo. Tutto avviene nel…

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