ETICA E CROSSMEDIALITA’ PER REAGIRE ALLA CRISI

I repentini cambiamenti tecnologici e l’inadeguatezza culturale non bastano a spiegare un arretramento costante. C’è un gap generazionale che colpisce anche i giornalisti, i quali sanno bene di soffrire una crisi di credibilità e di autorevolezza. Hanno torto gli italiani nel ritenere i giornalisti poco autonomi, troppo compromessi coi sistemi di potere, poco veritieri?
 
I risultati disastrosi per la stampa italiana diffusi nei giorni scorsi dall’Autorità per le garanzie della comunicazione (nel 2013 sull’anno precedente: ricavi a -7% per i quotidiani, -17,2% per i periodici) richiedono una riflessione.
 
I risultati disastrosi per la stampa italiana diffusi nei giorni scorsi dall’Autorità per le garanzie della comunicazione (nel 2013 sull’anno precedente: ricavi a -7% per i quotidiani, -17,2% per i periodici) richiedono una riflessione. Il peso della stampa rispetto all’intero settore della comunicazione (che chiude l’anno a -8,8%, trascinato in basso dai telefonici) è abbastanza limitato, ma la stampa è sostenuta da centinaia di piccole imprese in grande affanno, con pesanti cadute sulla libertà e il pluralismo dell’informazione, e naturalmente sui livelli occupazionali.
Inevitabile chiedersi se tutto questo sia effetto soltanto, o prevalentemente, della crisi economica o se altre cause abbiano contribuito in modo significativo a destabilizzare il sistema tradizionale dell’informazione. Anche gli indici per la radio, la televisione e perfino internet sono negativi, ma in modo più limitato. Almeno per il differenziale, che è pesantissimo soprattutto per i periodici, occorre trovare spiegazioni diverse dalla crisi generale.
Una prima categoria di motivi credo vada ricercata nei ritardi con cui in Italia si sono affrontati i grandi cambiamenti tecnologici e le conseguenti modifiche d’uso della funzione informativa. In un paese che non ha mai goduto di un brillante rapporto tra la grande opinione pubblica e la razionale consapevolezza dei problemi comuni – forse per il vizio di pensare per schemi ideologici – quando questi schemi sono andati in crisi, si sarebbe dovuto sviluppare la domanda di informazione per sostituire gli schemi con nuove competenze. Invece la trasformazione culturale è coincisa con quella tecnologica, che a partire dai giovani ha portato la progressiva disaffezione verso gli strumenti di informazione tradizionali, mentre i nuovi non si sono consolidati e professionalizzati adeguatamente.
Nel mondo industrializzato oggi si discute quasi esclusivamente di informazione “on line”. Le grandi testate si sono convertite alle nuove modalità informative “live”, in diretta. Non lo considerano un ripiego (“siamo in crisi, proviamo anche questa”) ma come una nuova frontiera sulla quale investire tutto per tutto. Chi può dire oggi, comprando il giornale del mattino o persino guardando il telegiornale della sera, di non essere già stato raggiunto per altra via da una parte considerevole delle informazioni? Neppure una decisa sterzata sulla strada dell’approfondimento e del commenti, certo opportuna, salva dal fatto che anche gli approfondimenti, e soprattutto i commenti, prolificano su internet. La sola possibile soluzione si chiama crossmedialità, cioè presenza contemporanea su tutti i mezzi adattando i contenuti alle caratteristiche di ciascuno. Strada obbligata anche per non essere travolti dal gap generazionale.
Già, ma il gap generazionale non riguarda solo i lettori, colpisce anche i giornalisti. Basta raccogliere informazioni su quello che accade nelle redazioni, anche quelle che si presentano come le più moderne, o cogliere gli umori dei giornalisti verso le vicende della categoria, come il rinnovo del contratto nazionale di …

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