“Ecco perché non ho abortito”

“Ero sola. Mi sentivo abbandonata e come sull’orlo di un baratro. Credevo che abortire fosse la cosa migliore, anche perché nel mio paese d’origine è la prassi normale. Per fortuna ho incontrato i volontari del Centro di aiuto alla vita (Cav) e ora sono madre. E dopo un po’ di tempo il padre è tornato in famiglia”.
Valeria (non è il suo vero nome) così riassume la sua storia. Viene dall’oriente e la sua storia è come quella di tante altre donne straniere: arriva in Italia sperando di lavorare e trovare tranquillità economica, vivere bene lontana da un Paese, quello d’origine, in cui c’è oppressione. Ma la realtà è ben diversa. “Mi ero unita ad un uomo della mia stessa nazionalità – racconta – ma, forse perché timoroso di non farcela, ad un certo punto mi ha abbandonata. Sola, in terra straniera, con un lavoro saltuario e incinta, abortire mi pareva la strada obbligata”.
E’ qui che intervengono i volontari del Cav. Le fanno capire che la vita è sacra e per il mantenimento materiale c’è un sostegno concreto. Si chiama Progetto Gemma e garantisce alla mamma e al bambino la sussistenza per un certo periodo. Ma soprattutto, i volontari fanno capire che non sarà mai sola.
Valeria comprende e si fida. Rifiuta l’aborto e sceglie la vita. L’avvenire è meno incerto, almeno nel breve periodo, grazie all’opera dei volontari. E così è. Ma Valeria ha un altro timore, un tarlo che a mano a mano che la gravidanza va avanti, le si insinua nella mente. “Ho pensato – dice la donna – che se nel corso degli anni non avessi avuto le possibilità di mantenere il bimbo, me lo avrebbero portato via”.
Anche in questo caso il ruolo dei volontari è fondamentale. Spiegano a Valeria che nessuno in Italia può portarle via il bambino. E quando lei sarà al lavoro, può lasciare in affido temporaneo il figlio ad una famiglia che si rende disponibile. E’ una forma di aiuto che non ha nulla a che vedere con l’adozione, che è permanente. L’affido prevede che un bambino passi parte della giornata, oppure qualche settimana o mese, presso coppie che si assumono la responsabilità di un’accoglienza temporanea. Così i genitori, la madre in questo caso, può lavorare, mantenere la famiglia e, allo stesso tempo, può stare con il bimbo quando vuole.
“Il caso di Valeria risale a qualche anno fa – spiega Maria Ridolfi, anima del Centro di aiuto alla vita – ma i rapporti sono rimasti ottimi e fra lei e noi volontari c’è amicizia. Anzi, è diventata, quasi, una volontaria pure lei. Quando viene a conoscenza di donne della sua nazionalità che vogliono abortire, le mette in contatto con noi. Così, grazie a lei, abbiamo salvato da morte certa altri bimbi”.
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