DISCORSO DI PAPA FRANCESCO
ALLA 66^ ASSEMBLEA GENERALE DELLA CEI

A me sempre ha colpito come finisce questo dialogo fra Gesù e Pietro: “Seguimi!” (Gv 21,19). L’ultima parola. Pietro era passato per tanti stati d’animo, in quel momento: la vergogna, perché si ricordava delle tre volte che aveva rinnegato Gesù, e poi un po’ di imbarazzo, non sapeva come rispondere, e poi la pace, è stato tranquillo, con quel “Seguimi!”. Ma poi, è venuto il tentatore un’altra volta, la tentazione della curiosità: “Dimmi, Signore, e di questo [l’apostolo Giovanni] che puoi dirmi? Cosa succederà a questo?”. “A te non importa. Tu, seguimi”. Io vorrei andarmene con questo messaggio, soltanto… L’ho sentito mentre ascoltavo questo: “A te non importa. Tu, seguimi”. Quel seguire Gesù: questo è importante! E’ più importante da parte nostra. A me sempre, sempre ha colpito questo…
 
Vi ringrazio di questo invito, ringrazio il Presidente delle sue parole. Ringrazio i membri della Presidenza… Un giornale diceva, dei membri della Presidenza, che “questo è uomo del Papa, questo non è uomo del Papa, questo è uomo del Papa…”. Ma la presidenza, di cinque-sei, sono tutti uomini del Papa!, per parlare con questo linguaggio “politico”… Ma noi dobbiamo usare il linguaggio della comunione. Ma la stampa a volte inventa tante cose, no?
 
Nel preparami a questo appuntamento di grazia, sono tornato più volte sulle parole dell’Apostolo, che esprimono quanto ho – quanto abbiamo tutti – nel cuore: “Desidero ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io” (Rm 1, 11-12).
 
Ho vissuto quest’anno cercando di pormi sul passo di ciascuno di voi: negli incontri personali, nelle udienze come nelle visite sul territorio, ho ascoltato e condiviso il racconto di speranze, stanchezze e preoccupazioni pastorali; partecipi della stessa mensa, ci siamo rinfrancati ritrovando nel pane spezzato il profumo di un incontro, ragione ultima del nostro andare verso la città degli uomini, con il volto lieto e la disponibilità a essere presenza e vangelo di vita.
 
In questo momento, unite alla riconoscenza per il vostro generoso servizio, vorrei offrirvi alcune riflessioni con cui rivisitare il ministero, perché si conformi sempre più alla volontà di Colui che ci ha posto alla guida della sua Chiesa.
 
A noi guarda il popolo fedele. Il popolo ci guarda! Io ricordo un film: “I bambini ci guardano”, era bello. Il popolo ci guarda. Ci guarda per essere aiutato a cogliere la singolarità del proprio quotidiano nel contesto del disegno provvidenziale di Dio. E’ missione impegnativa la nostra: domanda di conoscere il Signore, fino a dimorare in Lui; e, nel contempo, di prendere dimora nella vita delle nostre Chiese particolari, fino a conoscerne i volti, i bisogni e le potenzialità. Se la sintesi di questa duplice esigenza è affidata alla responsabilità di ciascuno, alcuni tratti sono comunque comuni; e oggi vorrei indicarne tre, che contribuiscono a delineare il nostro profilo di Pastori di una Chiesa che è, innanzitutto, comunità del Risorto, quindi suo corpo e, infine, anticipo e promessa del Regno.
 
In questo modo intendo anche venire incontro – almeno indirettamente – a quanti si domandano quali siano le attese del Vescovo di Roma sull’Episcopato italiano.
 
1. Pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto. 
 
Chiediamoci, dunque: Chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita?
 
La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato al fuoco della Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza la preghiera assidua, il Pastore è esposto al pericolo di vergogn…

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